L’unico criterio per determinare se gli oneri siano dovuti o meno consiste nel carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, di Paolo Urbani

Il Cons. Stato, sez. IV, 22 luglio 2024, n. 6587, ha ribadito che l’art. 16 del D.P.R. 380/2001 ribadisce l’onerosità del permesso di costruire mediante versamento di un contributo articolato su due componenti: oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) e costo di costruzione. Mentre gli oneri di urbanizzazione espletano la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, il costo di costruzione si configura quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore. Con specifico riferimento agli oneri di urbanizzazione, l’unico criterio per determinare se gli oneri siano dovuti o meno consiste nel carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti.

L’appello proposto dal Comune ha ad oggetto l’accertamento della spettanza o meno del contributo di costruzione (oneri di urbanizzazione e costo di costruzione) preteso dal Comune per l’intervento edilizio consistente nella demolizione, ricostruzione e accorpamento di due preesistenti edifici, l’uno a uso residenziale-commerciale e l’altro a destinazione deposito, con trasformazione in un nuovo unico fabbricato a uso promiscuo, composto da unità abitative, commerciali, garage, deposito ed altro.

Preliminarmente, in diritto, va evidenziato che “…l’art. 16 del D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380 ribadisce l’onerosità del permesso di costruire mediante versamento di un contributo articolato su due componenti: oneri di urbanizzazione (primaria e secondaria) e costo di costruzione” (Cons. Stato, Sez. IV, 12 giugno 2017, n. 2821).

Va inoltre ribadito che: “Mentre gli oneri di urbanizzazione espletano la funzione di compensare la collettività per il nuovo ulteriore carico urbanistico che si riversa sulla zona a causa della consentita attività edificatoria, il costo di costruzione si configura quale compartecipazione comunale all’incremento di valore della proprietà immobiliare del costruttore” (Cons. Stato, Sez. IV, 31 luglio 2020, n. 4877; Sez. VI, 29 agosto 2019, n. 5964; sez. IV, 28 giugno 2016, n. 2915; Sez. V, 30 novembre 2011, n. 6333).

Con specifico riferimento agli oneri di urbanizzazione, il Consiglio di Stato ha affermato che: “…l’unico criterio per determinare se gli oneri siano dovuti o meno consiste nel carico urbanistico derivante dall’attività edilizia, con la precisazione che per aumento del carico urbanistico deve intendersi tanto la necessità di dotare l’area di nuove opere di urbanizzazione, quanto l’esigenza di utilizzare più intensamente quelli esistenti” (Cons. Stato, Sez. VI, 25 luglio 2023, n. 7261; Sez. IV, 17 agosto 2022, n. 7191).

Un ultimo principio di cui va, infine, dato atto è quello secondo cui: “…è stata ritenuta sufficiente, al fine della configurazione di un maggior carico urbanistico, la circostanza che, quale effetto dell’intervento edilizio, sia mutata la realtà strutturale e la fruibilità urbanistica, con oneri riferiti all’oggettiva rivalutazione dell’immobile e funzionali a sopportare l’aggiuntivo carico socio-economico che l’attività edilizia comporta” (Cons. Stato, sez. II, 21 luglio 2021, n. 5494).

Muovendo da questi principi, il Collegio ritiene che la sentenza di primo grado vada riformata nelle sue motivazioni, in quanto, ai fini della determinazione degli oneri di urbanizzazione, risulta rilevante la circostanza che l’intervento edilizio finale, da considerarsi “unitario”, abbia determinato un aumento del carico urbanistico.

Questa circostanza emerge ex actis da cui si trae, infatti, sia che il nuovo edificio presenterà una maggiore volumetria, risultando così parzialmente diverso in parte qua rispetto agli edifici preesistenti, il che è indice di una “mutata realtà strumentale” (Cons. Stato, n. 5494/2021, cit.), sia che l’edificio realizzato presenta differenti destinazioni d’uso rispetto a quello degli edifici preesistenti dalla cui “fusione” deriva, il che comporta una differente “fruibilità urbanistica” (Cons. Stato, n. 5494/2021, cit.).

In punto di diritto, dalla giurisprudenza su richiamata, si evince che ciascuno di questi due elementi costituisce un indice idoneo a giustificare la pretesa comunale, in quanto idonei a dimostrare “l’esigenza di utilizzare più intensamente [le opere di urbanizzazione] esistenti” (Cons. Stato, n. 7261/2023).

Per chiarezza, va evidenziato che, quanto sin qui detto, circa l’unitarietà dell’intervento non può comportare l’applicazione dell’art. 17, comma 3, lett. b), d.P.R. n. 380/2001, che si riferisce ad interventi di “ristrutturazioni e ampliamenti” svolti su edifici unifamiliari, mentre nel caso in esame l’intervento consiste in un intervento di demolizione e ricostruzione di due edifici con conseguente creazione di un “nuovo fabbricato adibito a residenza al piano primo e secondo, locali commerciali, deposito e servizi al piano terra, oltre al piano interrato da destinare a deposito e posti auto per l’abitazione”.

In conclusione, l’appello va accolto e, pertanto, in riforma della sentenza di primo grado, il ricorso introduttivo del giudizio va respinto, con la conseguenza che l’atto di determinazione del contributo di costruzione va confermato.