
Il Cons. Stato, sez. V, 9 aprile 2024, n. 3232 ha ribadito che nel rilascio di una autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali. Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere. Non è infatti tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio. La disciplina urbanistica è la prima a dover essere tenuta in considerazione al fine di valutare l’assentibilità di un’attività commerciale.
Riferiscono gli appellanti che la ditta individuale detiene in locazione, per il solo uso commerciale e deposito, l’immobile costituito da un capannone con annessa corte di pertinenza.
Il fabbricato è stato realizzato in base a concessione edilizia e concessione edilizia in variante ove, in accoglimento della richiesta dell’allora proprietario di destinare il realizzando capannone a “confezioni e distribuzione di prodotti per la casa”, si attribuiva allo stesso la destinazione di “deposito merci e attività commerciale”.
È stata dichiarata l’agibilità dell’immobile ad uso commerciale nel frattempo ultimato; previa conferma mediante attestazione del Comune della destinazione d’uso a “deposito merci e attività commerciale”, l’ente civico ha rilasciato l’agibilità anche su una ulteriore porzione, oggetto di ampliamento, del predetto capannone.
L’appellante, nella qualità di locatario dell’immobile, ha presentato un’istanza avente ad oggetto “richiesta autorizzazione esercizio media struttura di vendita (non alimentare) da esercitarsi nei locali ubicati nel Comune”. Espongono gli appellanti che, in sostanza, è stata richiesta la stessa autorizzazione già rilasciata al precedente locatario in relazione al medesimo immobile avente destinazione d’uso commerciale.
Il Comune ha comunicato l’esistenza di motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza, ai sensi dell’art. 10 bis L. n. 241/1990, evidenziando che “la motivazione del diniego è data dalla mancanza della specifica destinazione d’uso” e precisando che “in merito alla destinazione d’uso dell’opificio, che ai sensi dell’art. 5 delle N.T.A. del P.R.T., l’esercizio di una media struttura di vendita, nell’edificio esistente, ove sia stata interrotta un’attività commerciale da almeno un anno, non è possibile esercitarla poiché non si può “riattivare” la destinazione d’uso pur se legittimamente assentita, in quanto risulta in contrasto con le destinazioni previste dallo “zoning” del P.R.T., vigente che prevede la realizzazione di “struttura per lo svolgimento di convegni, incontri, mostre ed uffici”.
Tale determinazione è stata impugnata dinanzi al TAR, ma il ricorso è stato respinto.
Di tale sentenza, gli appellanti hanno chiesto la riforma.
La ricostruzione degli appellanti non merita condivisione e la sentenza impugnata deve essere integralmente confermata.
Anzitutto va osservato che le autorizzazioni commerciali cui gli appellanti si riferiscono ripetutamente nel ricorso dimostrano il contrario di quello che essi sostengono e cioè che l’immobile oggetto della presente controversia è privo della destinazione d’uso idonea a consentire il commercio al dettaglio. Tanto basterebbe per evidenziare l’infondatezza della pretesa degli appellanti posto che ogni attività commerciale è subordinata alla verifica da parte del Comune del rispetto della destinazione urbanistica dei locali ove essa viene svolta. La conformità urbanistica vale quale requisito intrinseco di ammissibilità, prima ancora che di legittimità, della domanda volta a conseguire l’assenso ad una attività commerciale
L’immobile insiste nel perimetro del Piano territoriale del Nucleo Sviluppo Industriale e ricade nella Zona per “Attrezzature connesse al Trasporto Merci” in cui, tra le destinazioni ammesse, vi è quella di magazzini per il commercio all’ingrosso. Si tratta di un capannone che non ha la destinazione che gli appellanti pretendono di imprimergli sostenendo, peraltro, che l’utilizzo in via di fatto per la vendita, avrebbe sostanzialmente “sanato” il difetto di conformità urbanistica.
Gli appellanti, invocando la deroga di cui al comma 9 dell’art. 32. L.R. Abruzzo n. 23/2011 poggiano la loro tesi sulla continuità della destinazione d’uso commerciale. Ma tale requisito non sussiste se non in via di mero fatto. Correttamente il primo Giudice ha osservato che legittimare un uso del capannone diverso da quelli previsti nella zona in cui esso è compreso solo perché di fatto già esercitata, introdurrebbe in modo surrettizio un’ipotesi di sanatoria di una difformità urbanistica.
La giurisprudenza di questo Consiglio di Stato è oramai da tempo consolidata nel senso di ritenere che nel rilascio di una autorizzazione commerciale occorre tenere presenti i presupposti aspetti di conformità urbanistico-edilizia dei locali in cui l’attività commerciale si va a svolgere, con l’ovvia conseguenza che il diniego di esercizio di attività di commercio deve ritenersi senz’altro legittimo ove fondato su rappresentate e accertate ragioni di abusività dei locali nei quali l’attività commerciale viene svolta (Consiglio di Stato sez. V, 21 aprile 2021, n. 3209 che richiama Consiglio di Stato, Sez. IV, 14 ottobre 2011 n. 5537). Il legittimo esercizio dell’attività commerciale è pertanto ancorato alla iniziale e perdurante regolarità sotto il profilo urbanistico-edilizio dei locali in cui essa viene posta in essere (Consiglio di Stato, Sez. VI, 23 ottobre 2015, n. 4880).
Non è tollerabile l’esercizio dissociato, addirittura contrastante, dei poteri che fanno capo allo stesso ente per la tutela di interessi pubblici distinti, specie quando tra questi interessi sussista un obiettivo collegamento, come è per le materie dell’urbanistica e del commercio (Consiglio di Stato, Sez. V, 29 maggio 2018, n. 3212). La disciplina urbanistica è la prima a dover essere tenuta in considerazione al fine di valutare l’assentibilità di un’attività commerciale.
Per le ragioni esposte l’appello va respinto e, per l’effetto, va confermata la sentenza impugnata.