L’Adunanza Plenaria n. 3 del 2024, di Fabio Cusano

L’Adunanza Plenaria n. 3 del 2024 ha statuito che a) con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, deve intendersi il momento di realizzazione delle opere abusive; b) ai fini della determinazione della sanzione pecuniaria da determinare ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, deve procedersi alla determinazione della superficie convenzionale ai sensi dell’art. 13 della legge n. 392/1978 ed alla determinazione del costo unitario di produzione, sulla base del decreto aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso. Il costo complessivo di produzione, dato dalla moltiplicazione della superficie convenzionale con il costo unitario di produzione, va attualizzato secondo l’indice ISTAT del costo di costruzione.

Il giudizio trae origine dal ricorso dinanzi al TAR Lombardia, con il quale l’appellante ha chiesto l’annullamento del provvedimento nella parte in cui ha determinato la sanzione pecuniaria di cui all’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, in accoglimento della sua richiesta di “fiscalizzazione dell’illecito edilizio” posto in essere su un fabbricato.

L’amministrazione comunale ha quantificato la sanzione secondo il seguente procedimento: I) individuazione della superficie convenzionale ai sensi dell’art. 13 della legge n. 392/1978; II) determinazione del costo unitario di produzione al metro quadrato; III) moltiplicazione della superficie convenzionale per il costo unitario di produzione; IV) rivalutazione della somma così quantificata, in base ai parametri ISTAT dal 1993 al 2020; V) raddoppio di tale importo.

Avverso la sentenza di primo grado, ha proposto appello l’originaria ricorrente, che ha contestato la conclusione raggiunta dal giudice di prime cure, insistendo: a) sul dato testuale dell’art. 33, comma 2; b) sulla tesi per la quale la natura permanente dell’abuso edilizio rileverebbe solo in relazione all’imprescrittibilità del suo accertamento e della correlata sanzione, ma non in relazione alla determinazione della sanzione.

La Seconda Sezione del Consiglio di Stato ha rilevato la mancanza di specifici precedenti giurisprudenziali al riguardo e ha ritenuto di dover rimettere l’affare alla Adunanza Plenaria, trattandosi di una questione interpretativa che può dar luogo a contrasti giurisprudenziali ed è di particolare rilevanza, considerato l’alto numero dei casi pendenti in tema di condono edilizio.

L’ordinanza di rimessione ha individuato la ratio delle disposizioni sulla cd. fiscalizzazione dell’abuso edilizio nella volontà del legislatore di evitare, nei casi previsti dal comma 2, la sanzione primaria della rimozione e della demolizione dell’abuso, quando vi siano obiettive difficoltà tecniche di esecuzione.

Pertanto, ad avviso della Seconda Sezione, la ‘fiscalizzazione’ rappresenta un istituto attraverso il quale il legislatore ha inteso contemperare la situazione di difficoltà esistente al momento di esecuzione del ripristino con la necessità di esercitare comunque il potere sanzionatorio.

In definitiva, in caso di impossibilità di eseguire la sanzione reale in forma specifica, si accede ad una misura reale in forma pecuniaria con la stessa identica funzione risarcitoria della collettività, offesa dall’abuso edilizio.

Tanto premesso, la Sezione remittente ha ricostruito l’ambito di applicazione del comma 2 dell’art. 33 del d.P.R. n. 380/2001, individuando due riferimenti temporali: I) la data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri della legge 27 luglio 1978, n. 392; II) l’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione.

La Sezione rinviene dei dubbi soprattutto con riferimento al secondo termine temporale, sia quanto alle modalità di individuazione “dell’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di produzione”, sia con riferimento al significato da attribuire all’espressione “alla data di esecuzione dell’abuso”.

Quanto al primo profilo, la Seconda Sezione rileva che, con l’abrogazione dell’art. 22 della legge 27 luglio 1978, n. 392, disposta dall’art. 14 della legge 9 dicembre 1998, n. 431, non sono più stati emanati i decreti ministeriali che ogni anno determinavano il costo base di produzione per la realizzazione degli immobili adibiti ad uso di abitazione.

Infatti, l’ultimo decreto è stato emanato il 18 dicembre 1998. Conseguentemente, rileverebbe nel caso di specie l’anno di ultimazione dell’abuso (1993) per stabilire il valore dell’immobile o tutt’al più la data di emanazione del decreto del 18 dicembre 1998.

Ciò però determinerebbe un vulnus alla ratio e alle finalità perseguite ed un vantaggio economico per colui che benefici dell’abuso edilizio.

Quanto al secondo profilo, l’espressione “esecuzione dell’abuso” non sarebbe così inequivoca come sostenuto dall’appellante, dovendosi avere riguardo, per la natura permanente dell’abuso, al momento della scoperta dell’abuso o dell’accertamento dell’illecito, ovvero al momento dell’irrogazione della sanzione.

Tanto premesso, la Seconda Sezione ha sottoposto all’esame dell’Adunanza Plenaria i seguenti quesiti: – se, con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, di cui all’art. 33, comma 2, debba intendersi il momento di completamento dell’abuso ovvero quello in cui l’abuso è stato accertato dai competenti uffici pubblici ovvero sia stato denunciato dall’interessato a mezzo della richiesta di un condono o ancora quello di irrogazione della sanzione pecuniaria o demolitoria, intendendosi cioè l’espressione come momento di cessazione dell’abuso; – se, in mancanza dei decreti ministeriali di determinazione del costo di produzione per la realizzazione degli immobili ex art. 22 della l. n. 392 del 1978, ai fini della determinazione della sanzione pecuniaria ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001 possa procedersi all’attualizzazione, secondo gli indici ISTAT, al momento di irrogazione della sanzione pecuniaria dei valori risultanti dagli ultimi decreti ministeriali (30 gennaio 1997 e 18 dicembre 1998) ovvero se ancora l’attualizzazione possa essere quanto meno limitata al momento della scoperta dell’abuso o della sua denunzia (o della proposizione della istanza di condono).

I quesiti sottoposti all’attenzione dell’Adunanza Plenaria hanno ad oggetto l’interpretazione dell’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001, nella parte in cui esso prevede – nei casi ivi previsti – l’irrogazione di “una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, e con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione”.

In particolare, occorre chiarire come vada determinato il ‘costo di produzione’.

Come ha prospettato l’ordinanza di rimessione, il sopra riportato comma 2 potrebbe essere interpretato in due modi.

Premesso che la sanzione deve essere pari al doppio dell’aumento del valore dell’immobile a seguito della realizzazione delle opere abusive e che rilevano i criteri previsti dalla legge 27 luglio 1978, n. 392, l’ultimo costo di produzione: per una prima interpretazione, va determinato secondo quanto stabilito dal decreto ministeriale e poi il relativo importo va aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione; per una alternativa interpretazione, va determinato con riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, e l’importo così ottenuto va incrementato sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione.

Questa seconda lettura – che valorizza la virgola che segue la parola “abuso” – rileva che il termine ‘aggiornato’ fa riferimento all’ultimo costo di produzione determinato con il decreto ministeriale, aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso, ossia al decreto ministeriale emesso in prossimità all’esecuzione dell’abuso.

La scelta tra le due interpretazioni letterali sopra illustrate lascia aperto un ulteriore interrogativo, ossia cosa si intenda per “data di esecuzione dell’abuso”.

Al riguardo, sono possibili quattro diverse interpretazioni, di cui una sola, però, la prima, risulta maggiormente aderente al suo dato testuale: a) il momento in cui sono ultimati i lavori edilizi abusivi; b) il momento in cui l’abuso è accertato da parte dell’amministrazione; c) il momento in cui l’abuso è autodichiarato da parte dell’interessato; d) il momento in cui è irrogata la sanzione pecuniaria.

L’art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380/2001 dispone che vadano effettuate due distinte operazioni: a) individuare il costo di produzione, determinato con il decreto ministeriale aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso; b) attualizzare l’importo della sanzione, individuato sulla base del costo di costruzione, applicando l’indice ISTAT.

Ne consegue che va indicizzato non l’importo indicato nel decreto ministeriale, ma quello aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso. Questa soluzione, da un lato, consente di specificare quale deve essere il decreto ministeriale da utilizzare dall’altro, spiega perché nella frase vi sia una virgola dopo il termine “abuso”.

Quanto poi alla locuzione “data di esecuzione dell’abuso”, rileva il suo dato testuale.

L’aumento di valore dell’immobile va individuato sulla base dei criteri contenuti nella legge n. 392/1978, calcolando la superficie convenzionale e considerando il costo unitario di produzione secondo il decreto ministeriale aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso: la moltiplicazione tra i due termini indica il costo di produzione complessivo, ossia l’aestimatio, che va aggiornato (taxatio) sulla base dell’indice ISTAT del costo di costruzione.

Il legislatore ha ribadito che va esercitato il potere sanzionatorio anche quando vi siano obiettive difficoltà tecniche per eseguire la demolizione, derogando alla regola generale per cui gli abusi edilizi vanno materialmente rimossi.

Il relativo potere può essere esercitato su richiesta del responsabile dell’abuso, qualora risulti l’oggettiva impossibilità di procedere alla riduzione in pristino delle parti difformi senza incidere sulla stabilità dell’intero edificio.

Nel contemperare gli interessi in conflitto, il legislatore ha disposto che la sanzione pecuniaria in concreto erogata tenga conto dell’effettivo valore delle opere abusive, l’unico significativo per la definizione del caso concreto, e non di quello inferiore e risalente al passato, non più ancorato all’effettivo valore del bene.

È significativo che l’art. 33, comma 2, ricalca l’abrogato comma 2 dell’art. 9 della legge n. 47/1985, secondo il quale: “Qualora, sulla base di motivato accertamento dell’Ufficio tecnico comunale, il ripristino dello stato dei luoghi non sia possibile, il sindaco irroga una sanzione pecuniaria pari al doppio dell’aumento di valore dell’immobile, conseguente alla realizzazione delle opere, determinato, con riferimento alla data di ultimazione dei lavori, in base ai criteri previsti della legge 27 luglio 1978, n. 392”.

Quest’ultima diposizione non conteneva alcun meccanismo di adeguamento, ma il mero rinvio alla legge n. 392/1978, il cui art. 22, comma 1, ora abrogato nei sensi di cui all’art. 14, della legge n. 431/1998 ossia limitatamente alle locazioni abitative, stabiliva che: “Per gli immobili adibiti ad uso di abitazione che sono stati ultimati dopo il 31 dicembre 1975, il costo base di produzione a metro quadrato è fissato con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dei lavori pubblici, di concerto con quello di grazia e giustizia, sentito il Consiglio dei Ministri, da emanare entro il 31 marzo di ogni anno e da pubblicare nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”.

L’emanazione annuale dei decreti ministeriali, pertanto, già comportava un adeguamento periodico con effetti automatici per la commisurazione della sanzione.

Inoltre, un meccanismo di adeguamento, analogo a quello previsto dall’art. 33, comma 2, è contenuto nell’art. 34, comma, secondo il quale: “Quando la demolizione non può avvenire senza pregiudizio della parte eseguita in conformità, il dirigente o il responsabile dell’ufficio applica una sanzione pari al doppio del costo di produzione, stabilito in base alla legge 27 luglio 1978, n. 392, della parte dell’opera realizzata in difformità dal permesso di costruire, se ad uso residenziale, e pari al doppio del valore venale, determinato a cura della agenzia del territorio, per le opere adibite ad usi diversi da quello residenziale”.

Quest’ultima disposizione riguarda condotte meno gravi di quelle disciplinate dall’art. 33, comma 2, e va intesa – con riferimento ai casi in cui si tratti di immobili sia ad uso abitativo che ad uso diverso da quello abitativo – nel senso che la ‘fiscalizzazione’ debba tenere conto del valore del bene al tempo della sua determinazione.

Sarebbe invece irragionevole l’interpretazione dell’art. 33, comma 2, secondo la quale rileverebbe il valore del bene al momento di realizzazione delle opere.

La sanzione pecuniaria costituisce, nei tassativi casi consentiti, una misura alternativa alla materiale demolizione del manufatto e deve costituire una ‘risposta sanzionatoria’ omogenea ed effettiva, ciò che non vi sarebbe se si dovesse tenere conto del suo valore inferiore, commisurato al tempo della realizzazione dell’abuso.

Può pertanto, darsi risposta ai quesiti sottoposti all’esame del Collegio nel senso che:

a) con l’espressione “data di esecuzione dell’abuso”, deve intendersi il momento di realizzazione delle opere abusive;

b) ai fini della determinazione della sanzione pecuniaria da determinare ex art. 33, comma 2, del d.P.R. n. 380 del 2001, deve procedersi alla determinazione della superficie convenzionale ai sensi dell’art. 13 della legge n. 392/1978 ed alla determinazione del costo unitario di produzione, sulla base del decreto aggiornato alla data di esecuzione dell’abuso. Il costo complessivo di produzione, dato dalla moltiplicazione della superficie convenzionale con il costo unitario di produzione, va attualizzato secondo l’indice ISTAT del costo di costruzione.

L’appello è stato dunque respinto.