La Consulta riordina la disciplina edilizia siciliana di Fabio Cusano

Corte Cost 90 2023

 

Con la sentenza del 7 maggio 2023, n. 90, la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di molteplici articoli della L.R. Siciliana 6 agosto 2021, n. 23di riforma della L.R. Siciliana 10 agosto 2016, n. 16 e della L.R. Siciliana 18 marzo 2022, n. 2 in materia edilizia.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna, innanzitutto, l’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, il quale novella l’art. 3 della L.R. Siciliana n. 16 del 2016. In particolare, oggetto delle questioni di legittimità costituzionale è il nuovo art. 3, commi 1, lettere b), h), l), m), p), s), e af), e 2, lettere g), h), i) e l), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, i quali consentono l’esecuzione di taluni interventi edilizi, rispettivamente, senza titolo abilitativo o previa CILA. In tal modo, la Regione avrebbe deciso di «liberalizzare interventi anche molto impattanti sul territorio, sottraendoli a ogni tipo di controllo»; gli stessi sarebbero invece «classificabili come “nuova costruzione”, ossia trasformazioni edilizie e urbanistiche del territorio di cui alla lettera e) del comma 1 dell’art. 3 t.u. edilizia, per le quali è richiesto come titolo edilizio il permesso di costruire (o la SCIA alternativa al permesso di costruire)». Di qui la paventata violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, in quanto le disposizioni impugnate sarebbero in contrasto con gli artt. 6 e 6-bis t.u. edilizia, qualificabili come norme fondamentali di riforma economico-sociale.

L’impugnazione dell’art. 1, comma 1, lettere d), e), g) e h), e comma 2, lettera c), della L.R. Siciliana n. 2 del 2022 è strettamente connessa alle suddette censure: con il richiamato art. 1, infatti, il legislatore siciliano ha apportato modifiche all’art. 3 della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come novellato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, e alcune di dette modifiche sono del pari denunciate come costituzionalmente illegittime.

Le questioni in esame vertono tutte su norme regionali siciliane che consentono che taluni interventi edilizi siano eseguiti senza titolo abilitativo o previa CILA, con ciò prevedendo un regime più favorevole rispetto a quanto stabilito dalla normativa statale.

La Corte ha da tempo rilevato che quella del t.u. edilizia è normativa espressiva dei princìpi fondamentali in materia di «governo del territorio» e che, quindi, «l’attività demandata alla Regione si inserisce pur sempre nell’ambito derogatorio definito dall’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, attraverso la enucleazione di interventi tipici da sottrarre a permesso di costruire e SCIA (segnalazione certificata di inizio attività). Non è perciò pensabile che il legislatore statale abbia reso cedevole l’intera disciplina dei titoli edilizi, spogliandosi del compito, proprio del legislatore dei princìpi fondamentali della materia, di determinare quali trasformazioni del territorio siano così significative, da soggiacere comunque a permesso di costruire. Lo spazio attribuito alla legge regionale si deve quindi sviluppare secondo scelte coerenti con le ragioni giustificatrici che sorreggono, secondo le previsioni dell’art. 6 del d.P.R. n. 380 del 2001, le specifiche ipotesi di sottrazione al titolo abilitativo» (sentenza n. 139 del 2013). Ne consegue che «il limite assegnato al legislatore regionale dall’art. 6, comma 6, lettera a), del d.P.R. n. 380 del 2001 sta, dunque, nella possibilità di estendere “i casi di attività edilizia libera ad ipotesi non integralmente nuove, ma “ulteriori”, ovvero coerenti e logicamente assimilabili agli interventi di cui ai commi 1 e 2 del medesimo art. 6” (ancora sentenza n. 139 del 2013)» (sentenza n. 282 del 2016).

L’art. 14, lettere f) e n), dello statuto speciale, d’altra parte, affida alla Regione Siciliana la potestà legislativa esclusiva nelle materie dell’urbanistica e della tutela del paesaggio: essa, tuttavia, «deve essere esercitata “senza pregiudizio” delle riforme economico-sociali, che assurgono, dunque, a limite “esterno” della potestà legislativa primaria» (così, da ultimo, sentenza n. 252 del 2022).

La Corte ha già riconosciuto che le norme del t.u. edilizia concernenti i titoli abilitativi sono norme fondamentali di riforma economico-sociale, in quanto di queste condividono «le caratteristiche salienti» che vanno individuate «nel contenuto riformatore e nell’attinenza a settori o beni della vita economico-sociale di rilevante importanza» (sentenza n. 24 del 2022). Esse, d’altro canto, «rispondono complessivamente ad un interesse unitario ed esigono, pertanto, un’attuazione su tutto il territorio nazionale» (sentenza n. 198 del 2018).

Tutto ciò premesso, la Corte ha scrutinato le questioni di legittimità costituzionale, valutando, di volta in volta, se la previsione regionale impugnata abbia coerentemente sviluppato le definizioni del t.u. edilizia, nell’ambito di quanto espressamente ammesso dagli artt. 6, comma 6, e 6-bis, comma 4, dello stesso t.u. edilizia, o se, invece, abbia illegittimamente inquadrato in un diverso regime giuridico il sotteso intervento edilizio (sentenza n. 68 del 2018).

Lo scrutinio è stato dapprima condotto sulle disposizioni regionali impugnate che consentono la realizzazione di interventi edilizi senza titolo abilitativo.

Ad avviso della Corte, sono fondate, per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, le questioni aventi ad oggetto le modifiche apportate all’art. 3, comma 1, lettere b), h), l), m), p), e s), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016: nessuna di queste disposizioni può dirsi coerente sviluppo della normativa statale, secondo quanto consentito dall’art. 6, comma 6, t.u. edilizia.

Il nuovo art. 3, comma 1, lettera b), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, consente l’esecuzione senza titolo abilitativo degli interventi volti all’eliminazione di barriere architettoniche, comprendendo tra questi anche «la realizzazione di ascensori esterni se realizzati su aree private non prospicienti vie e piazze pubbliche». L’art. 6, comma 1, lettera b), t.u. edilizia, invece, considera sì interventi di attività edilizia libera quelli volti ad eliminare le barriere architettoniche, ma sempre che «non comportino la realizzazione di ascensori esterni o di altri manufatti in grado di alterare la sagoma dell’edificio».

Il nuovo art. 3, comma 1, lettera h), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. siciliana n. 23 del 2021, consente la realizzazione senza titolo abilitativo di strade poderali: si tratta di un intervento di trasformazione del territorio che non è logicamente assimilabile ad alcuno degli interventi edilizi dei quali l’art. 6 t.u. edilizia consente la realizzazione senza alcun titolo abilitativo, concretizzandosi dunque in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia libera.

Il nuovo art. 3, comma 1, lettera l), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, considera attività edilizia libera «il risanamento e la sistemazione dei suoli agricoli anche se occorrono strutture murarie». Se è vero che l’art. 6, comma 1, lettera d), t.u. edilizia consente che siano eseguiti senza titolo abilitativo «i movimenti di terra strettamente pertinenti all’esercizio dell’attività agricola e le pratiche silvo-pastorali, compresi gli interventi su impianti idraulici agrari», deve rilevarsi che la norma impugnata non solo permette interventi sul territorio che hanno una portata ben più ampia di quella cui si riferisce la norma statale, ma espressamente consente anche l’esecuzione di strutture murarie.

Il nuovo art. 3, comma 1, lettera m), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, permette che siano realizzate senza alcun titolo abilitativo «le cisterne e le opere connesse interrate, ivi compresi i vasconi in terra battuta per usi irrigui». Tale intervento di trasformazione del territorio, che può essere anche di non poco momento, non è logicamente assimilabile ad alcuno degli interventi edilizi dei quali l’art. 6 t.u. edilizia consente la realizzazione senza alcun titolo abilitativo, concretizzandosi dunque in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia libera.

Il nuovo art. 3, comma 1, lettera p), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, consente siano realizzate senza titolo abilitativo «le opere di ricostruzione e ripristino di muri a secco e di nuova costruzione con altezza massima di 1,50 metri». La disposizione regionale contiene tre distinte norme, qualificando come attività edilizia libera: i) la ricostruzione di muri a secco; ii) la nuova costruzione di muri a secco, in tutti i casi di altezza massima di 1,50 metri. Le norme, peraltro, consentono attività edilizie che non sono riconducibili ad alcuna delle ipotesi di cui all’art. 6 t.u. edilizia, anche in questo caso concretizzando ipotesi integralmente nuove di interventi realizzabili senza titolo abilitativo.

Il nuovo art. 3, comma 1, lettera s), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, considera attività edilizia libera «la realizzazione di opere interrate per lo smaltimento reflui provenienti da immobili destinati a civile abitazione compresa l’installazione di fosse tipo Imhoff o a tenuta, sistemi di fitodepurazione, per immobili privi di fognatura dinamica comunale». Anche in questo caso, l’intervento di trasformazione del territorio, che peraltro può essere anche particolarmente significativo, non è logicamente assimilabile ad alcun intervento edilizio la cui realizzazione è ammessa, ai sensi dell’art. 6 t.u. edilizia, senza titolo abilitativo, concretizzandosi dunque in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia libera.

Alla luce delle svolte considerazioni, si deve dunque dichiarare l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale:

  • dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera b), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «, compresa la realizzazione di ascensori esterni se realizzati su aree private non prospicienti vie e piazze pubbliche»;
  • dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera h), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016;
  • dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera l), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016;
  • dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera m), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016;
  • dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera p), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016;
  • dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera s), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016.

Altresì, il nuovo art. 3, comma 1, lettera af), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, considera attività edilizia libera la realizzazione di «piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell’edificio e appoggiate su battuti cementizi non strutturali». L’art. 1, comma 1, lettera h), della L.R. Siciliana n. 2 del 2022, ne ha disposto l’abrogazione per sostituzione; la nuova lettera af), infatti, consente, senza titolo abilitativo, la «collocazione di piscine pertinenziali prefabbricate fuori terra, realizzate con materiali amovibili, di dimensioni non superiori al 20 per cento del volume dell’edificio e comunque di volumetria non superiore a 90 mc». Il Presidente del Consiglio dei ministri ha dedotto che, per un verso, potrebbe trattarsi anche di «superfici di notevole estensione» e, per un altro, che sono manufatti che per le loro caratteristiche sono in grado di determinare «una significativa alterazione dello stato dei luoghi, nonché incidenza sulle matrici ambientali». Il ricorrente, richiamando ampiamente la sentenza del TAR Campania, n. 3730 del 2020, esclude che le piscine possano considerarsi pertinenze in senso urbanistico, dovendo invece essere qualificate come nuove costruzioni.

Le questioni promosse in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, aventi per oggetto entrambe le disposizioni regionali, sono fondate. L’art. 6, comma 1, lettera e-quinquies), t.u. edilizia considera eseguibili senza titolo abilitativo gli interventi che realizzino «aree ludiche senza fini di lucro e gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici»: entrambe le disposizioni regionali, tuttavia, non sono coerente sviluppo della normativa statale. Vero è che la giurisprudenza amministrativa ha talora sussunto nella fattispecie di cui all’art. 6, comma 1, lettera e-quinquies), t.u. edilizia la collocazione di piscine di modeste dimensioni, fuori terra, facilmente smontabili e rimontabili, prefabbricate e non ancorate a terra, che non comportino una trasformazione duratura dei luoghi, in ragione della intrinseca precarietà ed amovibilità del manufatto (così, ad esempio, TAR Lazio, sezione seconda quater, sentenza 21 novembre 2018, n. 11302). Tuttavia, neppure assumendo a parametro di riferimento detta giurisprudenza potrebbe considerarsi la normativa regionale sviluppo coerente di quella statale. Le piscine cui si riferisce la disposizione impugnata, infatti, sono di dimensioni potenzialmente significative, essendo parametrate al volume dell’edificio cui le si vuole considerare pertinenti. Esse, inoltre, sono appoggiate su (appositi e non necessariamente preesistenti) battuti cementizi che, per quanto il legislatore regionale stabilisca non possano essere strutturali, determinano certamente una significativa e duratura incidenza in senso trasformativo sul territorio.

Le modifiche operate non valgono a far venire meno le ragioni di illegittimità costituzionale. Anche con la nuova formulazione, infatti, possono essere liberamente realizzate piscine di dimensioni tutt’altro che modeste, avendo il legislatore regionale previsto che esse – fermo restando il limite del 20 per cento del volume dell’edificio – possano essere pari a 90 mc: il dato dimensionale e l’impatto visivo, che hanno potenzialmente una significativa incidenza sull’assetto dei luoghi, escludono che piscine siffatte, per quanto prefabbricate e amovibili, possano essere realizzate senza titolo abilitativo. Deve, pertanto, essere dichiarata l’illegittimità costituzionale tanto dell’art. 4, comma 1, della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 1, lettera af), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, quanto dell’art. 1, comma 1, lettera h), della L.R. Siciliana n. 2 del 2022.

La Corte ha scrutinato anche le questioni di legittimità costituzionale promosse avverso quelle disposizioni regionali siciliane che consentono la realizzazione di interventi edilizi previa CILA.

Il nuovo art. 3, comma 2, lettera g), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, sottopone al regime giuridico della CILA «la realizzazione di strade interpoderali».

La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata. La realizzazione di strade determina una trasformazione urbanistica del territorio non riconducibile a interventi di manutenzione ordinaria, di manutenzione straordinaria, di restauro o risanamento conservativo o di ristrutturazione edilizia quali sono quelli di cui all’art. 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), t.u. edilizia, sicché ai sensi della successiva lettera e) quello in esame deve considerarsi intervento di nuova costruzione, in quanto tale subordinato a permesso di costruire ex art. 6 t.u. edilizia. Si deve escludere, dunque, che la disposizione regionale impugnata sia logico e coerente sviluppo della normativa statale, concretizzandosi invece in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia sottoposta a CILA. Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera g), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016.

Il nuovo art. 3, comma 2, lettera h), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, prescrive che, previa CILA, si può procedere alla «nuova realizzazione di opere murarie di recinzione con altezza massima di m. 2,00; per altezze superiori trovano applicazione le disposizioni di cui all’articolo 10». Il rinvio all’art. 10 della medesima L.R. Siciliana n. 16 del 2016 fa sì che la nuova realizzazione di opere murarie di altezza superiore ai due metri sia sottoposta al regime giuridico della SCIA.

La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata. La nuova realizzazione di opere murarie indubbiamente determina una trasformazione edilizia e urbanistica del territorio che non è riconducibile ad alcuno degli interventi di cui all’art. 3, comma 1, lettere a), b), c) e d), t.u. edilizia, sicché ai sensi della successiva lettera e) deve considerarsi intervento di nuova costruzione, in quanto tale subordinato a permesso di costruire ex art. 6 t.u. edilizia. Si deve escludere, dunque, che la disposizione regionale impugnata sia coerente sviluppo della normativa statale, concretizzandosi invece in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia sottoposta a CILA. Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera h), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016.

Il nuovo art. 3, comma 2, lettera i), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, dispone che possono essere liberamente realizzate, purché precedute da CILA, «le opere di ricostruzione e … di nuova costruzione con altezza compresa tra m. 1,50 e m. 1,70».

È indubbio che la nuova costruzione di muri a secco rientri nell’ipotesi di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.1), t.u. edilizia (id est: costruzione di manufatti edilizi fuori terra) e richieda, pertanto, il permesso di costruire.

Le opere di ricostruzione cui si riferisce la disposizione impugnata debbono considerarsi interventi di ristrutturazione edilizia ai sensi dell’art. 3, comma 1, lettera d), t.u. edilizia, in quanto sono «volti al ripristino di edifici, o parte di essi, eventualmente crollati o demoliti, attraverso la loro ricostruzione, purché sia possibile accertarne la preesistente consistenza». Interventi del genere rientrano, secondo la normativa statale, nel regime della SCIA, ex art. 22, comma 1, lettera c), t.u. edilizia.

Si deve pertanto escludere, per entrambe le ipotesi ora esaminate, che le norme regionali censurate siano coerente e logico sviluppo della normativa statale, concretizzandosi invece in ipotesi integralmente nuove di attività edilizia sottoposta a CILA: di qui la fondatezza delle questioni promosse in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale. Alla luce di quanto detto, deve essere dichiarata l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera i), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «ricostruzione e» nonché «e di nuova costruzione».

Il nuovo art. 3, comma 2, lettera l), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come modificato dall’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, considera attività edilizia libera, purché preceduta da CILA, «la realizzazione di opere interrate di smaltimento reflui provenienti da singoli immobili destinati a strutture ed attività diverse dalla residenza appartenenti alle categorie funzionali previste alle lettere a-bis), b), c) e d) del comma 1 dell’articolo 23-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 380/2001 come recepito dall’articolo 1». Il rinvio operato dalla disposizione regionale è a immobili che abbiano funzione turistico-ricettiva, produttiva e direzionale, commerciale e rurale.

La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale è fondata. La realizzazione di opere interrate, quali quelle di cui alla norma regionale impugnata, è indubbiamente riconducibile all’ipotesi della costruzione di manufatti edilizi interrati di cui all’art. 3, comma 1, lettera e.1), t.u. edilizia, per la quale il legislatore statale richiede il permesso di costruire. Si deve escludere, dunque, che la disposizione regionale impugnata sia logicamente assimilabile alla normativa statale, concretizzandosi invece in un’ipotesi integralmente nuova di attività edilizia sottoposta a CILA. Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 2, lettera l), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016.

Del novellato art. 3 della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, per mezzo dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche il nuovo comma 7, ai sensi del quale «Le disposizioni di cui al presente articolo prevalgono su quelle contenute negli strumenti urbanistici e nei regolamenti edilizi vigenti, i quali, ove in contrasto, si conformano al contenuto delle disposizioni del presente articolo». Secondo il ricorrente, la previsione impugnata sarebbe in contrasto con norme fondamentali di riforma economico-sociale dettate dal t.u. edilizia, espressive di limiti ex art. 14 dello statuto siciliano, e nello specifico: con gli artt. 6, comma 1, e 6-bis, comma 1, che subordinano l’attività edilizia, sia essa libera o soggetta a CILA, alle prescrizioni degli strumenti urbanistici, che dunque sono prevalenti.

La questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con gli artt. 6, comma 1, e 6-bis, comma 1, t.u. edilizia, è fondata. Le norme statali evocate dal ricorrente prevedono esplicitamente che detti interventi sono realizzabili sempre che non sia diversamente disposto dalle «prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali», con ciò consentendo alla pianificazione urbanistica di tenere in considerazione, di volta in volta, il contesto territoriale e, conseguentemente, di stabilire un diverso regime giuridico. La disposizione regionale impugnata, invece, segue una impostazione affatto opposta, prevedendo che le statuizioni legislative prevalgano sugli strumenti urbanistici – impedendo dunque a questi ultimi di svolgere la funzione loro propria, che è quella di compiere una valutazione che tenga nella debita considerazione lo specifico contesto territoriale, eventualmente optando per una disciplina edilizia anche più restrittiva rispetto alle scelte del legislatore – e capovolgendo il criterio di prevalenza della pianificazione urbanistica sugli interventi individuali, stabilito dalla normativa statale evocata quale parametro interposto. In tal modo, inoltre, la pianificazione urbanistica, la quale deve articolarsi secondo esigenze che non possono essere aprioristicamente identiche su tutto il territorio, è compiuta ex lege anziché dai comuni, cui anche l’art. 2, comma 4, t.u. edilizia espressamente affida il compito di disciplinare l’attività edilizia.

La rilevata antinomia normativa non può essere risolta in via ermeneutica facendo leva sul comma 1 del medesimo art. 3 della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, richiamato anche dal successivo comma 2, che espressamente dispone che gli interventi edilizi ivi previsti siano realizzabili «fatte salve le prescrizioni degli strumenti urbanistici comunali». Il chiaro tenore letterale della disposizione impugnata, che, come correttamente rileva il Presidente del Consiglio dei ministri, è in aperta contraddizione con la clausola di salvezza di cui al richiamato comma 1, impedisce una diversa attribuzione di significato normativo, compatibile con le norme evocate a parametro.

Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 4 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 3, comma 7, della L.R. Siciliana n. 16 del 2016.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna altresì l’art. 6 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, che ha disposto la sostituzione dell’intero art. 5 della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, stabilendo quali interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia del territorio sono subordinati a permesso di costruire. Il ricorrente impugna non l’intero articolo novellato, ma la nuova lettera d), numero 4). Con tale norma il legislatore regionale avrebbe autorizzato il recupero «generalizzato, senza alcun limite temporale e in deroga alla pianificazione urbanistica in qualunque tempo emanata, di qualsivoglia sottotetto, locale interrato etc., anche se realizzato, a rigore, addirittura dopo l’entrata in vigore della norma de qua»: il tutto consentito sia nei centri storici e su immobili vincolati, sia con riferimento a immobili regolarizzati attraverso sanatorie edilizie e SCIA in sanatoria, contrariamente a quanto previsto dal piano casa, per come esplicitato dall’intesa Stato-Regioni del 2009. Ne deriverebbe l’illegittimità costituzionale per violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, perché sono consentiti irragionevolmente interventi anche su «edifici di recentissima realizzazione o addirittura di futura edificazione, senza che possano venire in gioco, quindi, interessi pubblici rilevanti quali il contenimento dell’uso di suolo, l’efficientamento energetico, o la rigenerazione urbana, che stanno alla base della normativa di recupero dei sottotetti o dei piani interrati». La disposizione impugnata è stata in parte oggetto di modifica per opera dell’art. 2, comma 1, lettere a), b) e c), della L.R. Siciliana n. 2 del 2022, con il quale si è introdotto un limite temporale al numero 4) della lettera d) (precisandosi che gli interventi edilizi in discorso possono compiersi su immobili esistenti «alla data di entrata in vigore della presente legge») e si è abrogata una parte del numero 5).

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche tali disposizioni di modifica. Si rileva, infatti, che rimarrebbe consentito il recupero abitativo di edifici esistenti alla data di entrata in vigore della L.R. Siciliana n. 16 del 2016 e di immobili oggetto di sanatorie edilizie. Il legislatore regionale, inoltre, avrebbe inteso autorizzare, a far data dalla entrata in vigore della L.R. Siciliana n. 2 del 2022, «la presentazione delle domande per l’ottenimento del permesso di costruire in sanatoria, anche in relazione ad interventi, in origine abusivamente realizzati, che potrebbero beneficiare di una modifica della disciplina urbanistica ed edilizia in senso più favorevole medio tempore intervenuta»: il che sarebbe in contrasto con la cosiddetta doppia conformità di cui all’art. 36 t.u. edilizia. La parziale abrogazione del numero 5), infine, non escluderebbe che le opere di recupero volumetrico possano realizzarsi anche in aree sottoposte a vincolo paesaggistico.

I dubbi di legittimità costituzionale prospettati avverso le disposizioni regionali contenute tanto nella L.R. Siciliana n. 23 del 2021 quanto nella L.R. Siciliana n. 2 del 2022 possono essere congiuntamente esaminati nel merito. Il Presidente del Consiglio dei ministri sostanzialmente lamenta che il legislatore siciliano avrebbe adottato una normativa che consente il recupero volumetrico a fini abitativi: i) anche quando si tratti di immobili abusivi oggetto di sanatoria, il che sarebbe in contrasto con il piano casa di cui all’intesa del 2009; ii) senza alcun limite temporale, dettando in tal modo una disciplina “a regime”, che sarebbe contrastante con i princìpi in tema di pianificazione urbanistica e che riguarderebbe anche immobili venuti a esistenza successivamente alla L.R. Siciliana n. 16 del 2016; iii) in deroga alla normativa vigente di cui all’art. 41-quinquies della legge urbanistica e al d.m. n. 1444 del 1968, nonché al Codice dei beni culturali.

La questione di legittimità costituzionale avente a oggetto l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come introdotto dall’art. 6 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale in ragione della possibilità di effettuare gli interventi edilizi ivi previsti anche in deroga alla normativa vigente è fondata.

La giurisprudenza di questa Corte ha già riconosciuto che interventi di recupero come quelli in esame «perseguono interessi ambientali certamente apprezzabili, quali la riduzione del consumo di suolo e l’efficientamento energetico» (sentenza n. 54 del 2021; da ultimo, anche sentenza n. 17 del 2023), ma ha altresì affermato che le leggi regionali che li consentano debbono prevedere (o devono essere interpretate nel senso che devono prevedere) il rispetto tanto della normativa sugli standard urbanistici quanto del Codice dei beni culturali (sentenze n. 17 del 2023, n. 24 del 2022, n. 124 e n. 54 del 2021, n. 208 del 2019, n. 282 del 2016).

La disposizione regionale impugnata, che espressamente contempla la possibilità di realizzare gli interventi edilizi di recupero volumetrico a fini abitativi «in deroga alle norme vigenti», impedisce di ritenere, anche solo in via ermeneutica, che è fatto salvo il rispetto della normativa sugli standard urbanistici e di quella posta dal codice dei beni culturali, entrambe espressive di norme fondamentali di riforma economico-sociale.

Costituzionalmente illegittima per le medesime ragioni è anche la previsione, parimenti impugnata dal Presidente del Consiglio dei ministri, di cui all’art. 5, comma 1, lettera d), numero 6), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, come introdotto dall’art. 6 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021: essa, infatti, fa espressamente salva la deroga di cui al precedente numero 4). Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 6 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021: i) nella parte in cui introduce l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 4), della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «in deroga alle norme vigenti e comunque»; ii) nella parte in cui introduce l’art. 5, comma 1, lettera d), numero 6), della L.R. n. 16 del 2016, limitatamente alle parole «, fatte salve le deroghe di cui ai punti precedenti».

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 10 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, il quale ha integralmente sostituito l’art. 10 della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, censurandone il solo comma 10, il quale dispone: «Previa segnalazione certificata di inizio attività, con riferimento agli immobili sottoposti a vincoli ai sensi del decreto legislativo n. 42/2004 e successive modificazioni sono consentiti nel medesimo lotto gli interventi di demolizione e ricostruzione e gli interventi di ripristino di edifici crollati, nel rispetto della volumetria esistente, per motivi di sicurezza o di rispetto di distanze previste negli strumenti urbanistici vigenti alla data dell’intervento previo parere e autorizzazione paesaggistica della Soprintendenza competente per territorio». Secondo il ricorrente, la norma regionale sarebbe in contrasto con la clausola di salvaguardia a favore dei beni tutelati secondo il Codice dei beni culturali (art. 3, comma 1, lettera d, t.u. edilizia). Detta clausola, infatti, prevede che, per poter qualificare come ristrutturazione edilizia le demolizioni e ricostruzioni o gli interventi di ripristino effettuati su beni vincolati o situati in aree vincolate, deve essere assicurato «il mantenimento contemporaneamente di sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente»: in caso contrario, si è dinanzi a una nuova costruzione ed è pertanto necessario il permesso di costruire. La norma regionale, invece, per taluni di siffatti interventi su immobili tutelati prevede la SCIA e non il permesso di costruire, con ciò violando l’art. 14 dello statuto speciale.

La questione di legittimità costituzionale, promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con l’art. 3 t.u. edilizia, è fondata. La norma regionale, come correttamente rileva il ricorrente, prevede che gli interventi di demolizione e ricostruzione e quelli di ripristino di edifici crollati, sottoposti a vincolo ex Codice dei beni culturali, possano essere realizzati nel solo rispetto della volumetria esistente e previa SCIA. La normativa statale, invece, esplicitamente dispone che, per gli immobili tutelati dal Codice dei beni culturali, si è dinanzi a ristrutturazione edilizia solo ove demolizione, ricostruzione e ripristino mantengano «sagoma, prospetti, sedime e caratteristiche planivolumetriche e tipologiche dell’edificio preesistente e non siano previsti incrementi di volumetria» (art. 3, comma 1, lettera d, t.u. edilizia, ultimo periodo): solo in tal caso, ai sensi dell’art. 22, comma 1, lettera c), è sufficiente la SCIA, mentre, ove si intenda modificare uno o più di questi aspetti, l’intervento edilizio è soggetto a permesso di costruire. Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 10 della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, nella parte in cui introduce l’art. 10, comma 10, della L.R. Siciliana n. 16 del 2016.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna altresì l’art. 20, comma 1, lettera b), della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, il quale sostituisce l’art. 25, comma 3, della L.R. Siciliana n. 16 del 2016. Detto art. 25 disciplina la compatibilità paesaggistica delle costruzioni realizzate in zone sottoposte a vincolo e la regolarizzazione di autorizzazioni edilizie in assenza di autorizzazione paesaggistica. Con la novella censurata, il legislatore siciliano consentirebbe, secondo il ricorrente, una sanatoria paesaggistica ex post «per il solo fatto che sia stata presentata istanza di concessione edilizia prima dell’apposizione del vincolo, circostanza che diventa unica condizione legittimante». La norma regionale sarebbe così in contrasto con il divieto di sanatoria paesaggistica ex poststabilito, in particolare, dagli artt. 146 e 167 Cod. beni culturali, i quali indicano i «ristrettissimi casi, di natura eccezionale» in cui detta sanatoria resta possibile: di qui la violazione dell’art. 14 dello statuto speciale, quelle violate essendo norme fondamentali di riforma economico-sociale.

Successivamente, il legislatore siciliano, con l’art. 12, comma 11, della L.R. Siciliana 25 maggio 2022, n. 13 (Legge di stabilità regionale 2022-2024), ha introdotto nell’art. 25 della L.R. Siciliana n. 16 del 2016 un nuovo comma 2-bis, il cui testo è sostanzialmente identico al comma 3 del medesimo art. 25, nella versione antecedente alla sostituzione operata con la disposizione impugnata. Il richiamato art. 12, comma 11, è stato impugnato separatamente dinanzi alla Corte.

Ai fini dello scrutinio nel merito, è previamente necessaria una sintetica ricostruzione del quadro normativo di riferimento. Il Codice dei beni culturali vieta espressamente la cosiddetta sanatoria paesaggistica postuma. All’art. 146, infatti, stabilisce che «Fuori dai casi di cui all’articolo 167, commi 4 e 5, l’autorizzazione non può essere rilasciata in sanatoria successivamente alla realizzazione, anche parziale, degli interventi». I casi di cui all’art. 167 consentono al trasgressore di ottenere la compatibilità paesaggistica e, dunque, di non rimettere in pristino i luoghi.

La ratio della normativa statale, più severa rispetto alla disciplina previgente, è quella di precludere qualsiasi forma di legittimazione del “fatto compiuto”, in quanto l’esame di compatibilità paesaggistica deve sempre precedere la realizzazione dell’intervento. Si esclude in radice, dunque, che l’esame di compatibilità paesaggistica possa essere postergato all’intervento realizzato.

In ragione di questo nuovo sistema, come detto più rigoroso rispetto al passato, il legislatore statale aveva previsto un regime transitorio: regime in base al quale l’autorità paesaggistica competente può rilasciare la sanatoria paesaggistica, in deroga all’art. 146 e dunque anche successivamente all’entrata in vigore del Codice dei beni culturali, purché la domanda di sanatoria fosse stata già presentata al 30 aprile 2004 (art. 182, comma 3-bis, Cod. beni culturali).

Tale disposizione transitoria è espressamente richiamata dall’art. 25, comma 1, della L.R. Siciliana n. 16 del 2016, il quale stabilisce che essa «si applica nella Regione anche alle domande di sanatoria presentate ai sensi dell’articolo 24 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37 e dell’articolo 1 della legge regionale 15 maggio 1986, n. 26 per le costruzioni realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico e definite con il rilascio di concessione in sanatoria non precedute dall’acquisizione dell’autorizzazione paesaggistica». Il novellato, e impugnato, successivo comma 3, recita: «La procedura di cui ai commi 1 e 2 si applica anche per la regolarizzazione di concessioni edilizie rilasciate in assenza di autorizzazione paesaggistica per i beni individuati dalle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 134 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 e successive modificazioni, sempre che le relative istanze di concessione siano state presentate al comune di competenza prima dell’apposizione del vincolo». La disposizione impugnata, pertanto, per mezzo del richiamo al comma 1, rende applicabile l’art. 182, comma 3-bis, Cod. beni culturali a una ulteriore ipotesi, che è la sola sottoposta all’esame della Corte.

Ciò premesso, la questione di legittimità costituzionale promossa in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con gli artt. 146 e 167 Cod. beni culturali, è fondata. La normativa regionale impugnata, come detto, finisce per rendere applicabile il regime transitorio di cui all’art. 182, comma 3-bis, Cod. beni culturali anche a casi ulteriori e diversi. Ai sensi della normativa statale, infatti, è possibile ottenere l’autorizzazione paesaggistica postuma purché la relativa domanda sia stata presentata prima del 30 aprile 2004; la normativa regionale, invece, prevede la possibilità di ottenere tale autorizzazione, non rilasciata al tempo dell’accordata concessione edilizia, anche per il caso che l’istanza a tal fine sia presentata dopo il 30 aprile 2004: secondo la norma impugnata, infatti, ciò che rileva non è il momento in cui è stata presentata l’istanza di autorizzazione paesaggistica postuma – unica condizione legittimante prevista dal legislatore statale – ma quello, diverso, in cui al Comune è stata fatta istanza di concessione edilizia, la quale deve essere stata presentata prima dell’apposizione del vincolo paesaggistico. La norma impugnata – prevedendo l’applicabilità del regime di cui all’art. 182, comma 3-bis, Cod. beni culturali a fattispecie diverse rispetto a quelle ivi contemplate – consente dunque di ottenere la sanatoria paesaggistica ex postin ipotesi diverse da quelle, ristrettissime e tassative (sentenza n. 201 del 2021), di cui agli artt. 146 e 167 Cod. beni culturali. Va dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 20, comma 1, lettera b), della L.R. Siciliana n. 23 del 2021.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche l’art. 37, comma 1, lettere a) e d), della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, le quali rispettivamente sostituiscono l’art. 2, comma 4, della L.R. Siciliana n. 6 del 2010, sul piano casa siciliano, e abrogano alcune parole all’art. 11, comma 2, della medesima legge regionale. Le modifiche avrebbero «l’effetto dirompente di capovolgere il principio statale, posto alla base del cosiddetto piano casa, in base al quale gli abusi edilizi, benché oggetto di sanatoria, non sono mai computabili ai fini di ottenere premialità edilizie su quei volumi», come risulterebbe dall’intesa tra lo Stato e le regioni del 1° aprile 2009: il che, oltre che in contrasto con l’art. 14 dello statuto speciale, sarebbe anche contrario ai princìpi di proporzionalità e di ragionevolezza.

Le indicate disposizioni regionali, inoltre, determinerebbero «l’evidente incremento dell’edificazione anche in aree vincolate paesaggisticamente», in contrasto con l’art. 167, comma 4, Cod. beni culturali, norma fondamentale di riforma economico-sociale.

Ai fini dello scrutinio nel merito delle questioni di legittimità costituzionale, è necessario dar conto dell’effetto che le disposizioni impugnate hanno sulla L.R. Siciliana n. 6 del 2010.

L’art. 2, comma 4, di tale L.R., nell’indicare quali fossero gli interventi edilizi realizzabili sulla base del piano casa, prima dell’impugnata novella del 2021 recitava: «4. Gli interventi possono riguardare esclusivamente edifici legittimamente realizzati. Sono esclusi gli immobili che hanno usufruito di condono edilizio salvo quelli oggetto di accertamento di conformità di cui all’articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dall’articolo 1 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37». Il legislatore siciliano, pertanto, aveva esplicitamente escluso che gli interventi del piano casa potessero ricadere su immobili condonati. Detta esclusione veniva ribadita nel successivo art. 11, comma 2, lettera f), il quale, nel testo antecedente alla L.R. Siciliana n. 23 del 2021, stabiliva che gli interventi previsti dalla L.R. Siciliana n. 6 del 2010 non potessero riguardare: «gli immobili oggetto di condono edilizio nonché di ordinanza di demolizione, salvo quelli oggetto di accertamento di conformità di cui all’articolo 13 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, introdotto dall’articolo 1 della legge regionale 10 agosto 1985, n. 37».

Con le disposizioni impugnate, invece, il legislatore siciliano ha implicitamente ammesso che gli interventi del piano casa possano eseguirsi anche su immobili che abbiano usufruito di condono edilizio. L’impugnato art. 37, comma 1, lettera a), infatti, ha sostituito l’art. 2, comma 4, della L.R. Siciliana n. 6 del 2010 con il seguente: «Gli interventi riguardano edifici realizzati con titoli abilitativi che ne hanno previsto la costruzione o che ne hanno legittimato la stessa». L’art. 37, comma 1, lettera d), pure impugnato, ha disposto la soppressione delle parole «di condono edilizio nonché» all’art. 11, comma 2, lettera f), della medesima legge regionale.

Ciò premesso, le questioni di legittimità costituzionale promosse in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale, per il contrasto con i princìpi posti dalla normativa statale sul piano casa, sono fondate. La Corte ha già affermato che l’intesa tra Stato e regioni del 1° aprile 2009, per mezzo della quale si è adottato il piano casa volto a favorire iniziative per il rilancio dell’economia e a introdurre incisive misure di semplificazione dell’attività edilizia, «puntualizza che gli interventi edilizi non possono riferirsi a edifici abusivi ovvero ubicati nei centri storici o in aree di inedificabilità assoluta» (sentenza n. 24 del 2022). Tale specifico profilo dell’intesa ha trovato puntuale attuazione nell’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito, ai sensi del quale gli interventi edilizi «non possono riferirsi ad edifici abusivi o siti nei centri storici o in aree ad inedificabilità assoluta, con esclusione degli edifici per i quali sia stato rilasciato il titolo abilitativo edilizio in sanatoria». Si è altresì osservato, in quella medesima pronuncia, che la nozione di titolo abilitativo edilizio in sanatoria deve interpretarsi, in coerenza con la terminologia adoperata dal legislatore e con la ratio della normativa in esame, in senso restrittivo e, quindi, differente dal condono: «mentre il condono ha per effetto la sanatoria non solo formale ma anche sostanziale dell’abuso, a prescindere dalla conformità delle opere realizzate alla disciplina urbanistica ed edilizia (sentenza n. 50 del 2017, punto 5 del Considerato in diritto), il titolo in sanatoria presuppone la conformità alla disciplina urbanistica e edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’immobile sia al momento della presentazione della domanda (sentenza n. 107 del 2017, punto 7.2. del Considerato in diritto). A favore dell’interpretazione restrittiva milita il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative. La disciplina ricordata configura una norma fondamentale di riforma economico-sociale, come confermano l’ampiezza degli obiettivi perseguiti, l’incidenza su aspetti qualificanti della normativa edilizia e urbanistica e la stessa scelta di coinvolgere anche Regioni ed enti locali nel definire i tratti essenziali dell’intervento riformatore» (sentenza n. 24 del 2022).

Il legislatore siciliano, consentendo la realizzazione di interventi edilizi anche su immobili che hanno usufruito del condono edilizio, ha dunque violato una norma fondamentale di riforma economico-sociale idonea a vincolare la potestà legislativa primaria di cui all’art. 14 dello statuto speciale. Deve essere dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, lettere a) e d), della L.R. Siciliana n. 23 del 2021.

Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna altresì l’art. 37, comma 1, lettera c), numero 1), della L.R. Siciliana n. 23 del 2021, il quale abroga in parte l’art. 6, comma 2, della L.R. Siciliana n. 6 del 2010. Tale ultima disposizione, nel testo previgente a quella impugnata, prevedeva che le istanze relative agli interventi edilizi da compiere in base al piano casa «sono presentate entro quarantotto mesi dal termine fissato al comma 4 e sono corredate, a pena di inammissibilità, dal titolo abilitativo edilizio ove previsto relativo all’immobile oggetto di intervento, rilasciato o concretizzatosi antecedentemente alla data di presentazione dell’istanza». La disposizione impugnata sopprime le parole «sono presentate entro quarantotto mesi dal termine fissato al comma 4 e». La norma impugnata, secondo il ricorrente, facendo venir meno il limite di 48 mesi per la presentazione delle istanze, non solo renderebbe tempestive le istanze tardive già presentate, ma riaprirebbe «sine die i termini del piano casa siciliano consentendo la presentazione di nuove domande senza alcun limite temporale». In questo modo verrebbe del tutto «snaturata» la finalità originaria del piano casa, che era quella di consentire interventi straordinari su edifici abitativi per un periodo temporalmente limitato, come espressamente stabilito dall’intesa del 2009, che prevedeva un limite temporale di diciotto mesi. Limite che era sì modificabile in senso ampliativo dalle singole regioni, ma secondo proporzionalità e ragionevolezza.

Il legislatore siciliano avrebbe, dunque, stabilizzato «una normativa eccezionale e derogatoria alla pianificazione urbanistica», in contrasto con una norma fondamentale di riforma economico-sociale. La sostanziale riapertura dei termini per presentare le istanze del piano casa avrebbe come effetto «quello di accrescere enormemente, per sommatoria, il numero degli interventi consentiti ex lege, al di fuori di qualsivoglia valutazione del singolo contesto territoriale, scardinando così il principio fondamentale in materia di governo del territorio secondo il quale gli interventi di trasformazione edilizia e urbanistica sono consentiti solo nel quadro della pianificazione urbanistica». Di qui, anche la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto le trasformazioni sul territorio non sono previste «sulla base di una valutazione riferita ai singoli contesti, bensì in base a un disegno generale e astratto operato una volta per tutte dalla legge».

Il modificato art. 6, comma 2, della L.R. Siciliana n. 6 del 2010 è stato sostituito per opera dell’art. 8, comma 1, lettera b), della L.R. Siciliana n. 2 del 2022, impugnato dal Presidente del Consiglio dei ministri. Il nuovo testo recita: «Fermo restando il termine per la realizzazione degli interventi di cui agli articoli 2 e 3, come previsto dall’articolo 5 della legge regionale 30 dicembre 2020, n. 36, fissato al 31 dicembre 2023, le istanze relative agli interventi sono presentate entro il 30 giugno 2023 e sono corredate, a pena di inammissibilità, dal titolo abilitativo edilizio ove previsto relativo all’immobile oggetto di intervento, rilasciato o concretizzatosi antecedentemente alla data di presentazione dell’istanza». Il ricorrente – una volta rilevato che nell’impianto originario della legge siciliana sul piano casa detto termine era di ventiquattro mesi, portato poi a quarantotto mesi, prima della sua soppressione per opera della L.R. Siciliana n. 63 del 2021 – osserva che la norma impugnata, pur introducendo un termine, «mantiene comunque la scelta di prolungare la durata del piano casa in modo arbitrario e irragionevole rispetto alla durata originaria», peraltro consentendo interventi anche su «immobili non ancora realizzati, ma soltanto assentiti con il rilascio del titolo edilizio; immobili per i quali non appaiono sussistere esigenze di riqualificazione edilizia o di efficientamento energetico». Il ricorrente ritiene che la disposizione impugnata, violando il principio della necessaria pianificazione urbanistica espresso dall’art. 41-quinquies della legge n. 1150 del 1942, sia in contrasto con l’art. 14 dello statuto speciale. La norma statutaria sarebbe violata, poi, anche in ragione della violazione del principio di temporaneità del piano casa. Le ragioni di illegittimità costituzionale troverebbero riscontro, peraltro, anche nella sentenza n. 24 del 2022 della Corte.

Il ricorrente osserva, ancora, che tra le norme fondamentali di riforma economico-sociale rientrano senz’altro anche gli artt. 135, 143 e 145 Cod. beni culturali, secondo i quali il piano paesaggistico è sovraordinato rispetto a ogni altro strumento di pianificazione: se è vero che il legislatore siciliano ha introdotto all’art. 11, comma 1, ultimo periodo, della L.R. Siciliana n. 6 del 2010 la previsione secondo cui sui beni tutelati dal Codice dei beni culturali sono consentiti solo interventi nei casi e nei limiti previsti dal piano paesaggistico, non possono tuttavia escludersi «del tutto i possibili pregiudizi che la trasformazione del territorio in deroga alla pianificazione urbanistica è in grado di arrecare alle esigenze di tutela del paesaggio».

Il ricorrente, poi, lamenta altresì la violazione degli artt. 3, 9 e 97 Cost., poiché la normativa regionale impedirebbe una valutazione riferita ai singoli contesti territoriali, irragionevolmente assimilati tra loro, nonché una adeguata considerazione delle esigenze di tutela del paesaggio. Secondo la Regione Siciliana, il ricorrente non avrebbe considerato, nel complesso, la normativa regionale in materia. Dall’esame di quest’ultima, si ricaverebbe, per un verso, che il termine per la realizzazione degli interventi è stato prorogato al 31 dicembre 2023 dall’art. 5, comma 1, della L.R. Siciliana n. 36 del 2020, e, per un altro, che gli interventi di ampliamento, demolizione o ricostruzione di cui al piano casa sarebbero possibili su immobili realizzati sulla base di un regolare titolo abitativo edilizio ed esistenti al 31 dicembre 2015 (art. 2 della L.R. Siciliana n. 6 del 2010) o al 31 dicembre 2009 (art. 3 della L.R. Siciliana n. 6 del 2010). Il termine modificato dalla disposizione impugnata sarebbe soltanto quello «per presentare le relative istanze» e non determinerebbe alcuna proroga del piano casa.

Le questioni di legittimità costituzionale promosse, con entrambi i ricorsi, in riferimento all’art. 14 dello statuto speciale sono fondate. Le norme impugnate, infatti, violano i princìpi della pianificazione urbanistica e della temporaneità del piano casa, entrambi aventi natura di norme fondamentali di riforma economico-sociale, che in quanto tali limitano la potestà legislativa esclusiva della Regione Siciliana. L’art. 6, comma 2, della L.R. Siciliana n. 6 del 2010 – tanto nella versione successiva alla L.R. Siciliana n. 23 del 2021, quanto in quella frutto della riformulazione operata dalla L.R. Siciliana n. 2 del 2022 – ha l’effetto di consentire anche oggi, a distanza di molti anni dall’adozione a livello nazionale e a livello regionale del piano casa, la presentazione di istanze per la realizzazione di interventi edilizi eccezionalmente consentiti in base a detto piano: l’unica differenza tra le due norme regionali sta nella fissazione, per opera della norma più recente, di un termine entro il quale presentare dette istanze, fissato al 30 giugno 2023.

La Corte ha già osservato che «reiterate proroghe di una disciplina eccezionale e transitoria, volta ad apportare deroghe alla pianificazione urbanistica al fine di consentire interventi edilizi di carattere straordinario, possono compromettere l’imprescindibile visione di sintesi, necessaria a ricondurre ad un assetto coerente i molteplici interessi che afferiscono al governo del territorio ed intersecano allo stesso tempo l’ambito della tutela dell’ambiente e dell’ecosistema» (sentenze n. 19 e n. 17 del 2023 e n. 229 del 2022). Rendere stabile, o comunque protrarre a lungo nel tempo, una disciplina quale quella del piano casa nata come transitoria, infatti, ha come ineluttabile conseguenza quella di consentire «reiterati e rilevanti incrementi volumetrici del patrimonio edilizio esistente, isolatamente considerati e svincolati da una organica disciplina del governo del territorio», di autorizzare «interventi parcellizzati, svincolati da una coerente e stabile cornice normativa di riferimento», di trascurare «l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio, proprio della pianificazione urbanistica, e così» di danneggiare «il territorio in tutte le sue connesse componenti e, primariamente, nel suo aspetto paesaggistico e ambientale (sentenza n. 219 del 2021, punto 4.2. del Considerato in diritto)» (sentenza n. 24 del 2022).

Le norme regionali censurate, che, come detto, consentono a più di dieci anni di distanza dall’entrata in vigore del piano casa siciliano la presentazione di istanze volte alla realizzazione di interventi edilizi straordinari, consegnano «ad una dimensione perennemente instabile e precaria» (sentenza n. 229 del 2022) la tutela del territorio e dello sviluppo urbanistico, che deve essere improntata all’esigenza di valutazione unitaria del territorio, richiesta dai princìpi di pianificazione urbanistica posti dal legislatore statale. L’eccezionalità e la temporaneità del piano casa – insite già di per sé nella natura derogatoria delle trasformazioni edilizie consentite – sono d’altra parte espressamente affermate dall’intesa tra lo Stato e le Regioni del 1° aprile 2009, della quale la L.R. Siciliana n. 6 del 2010, secondo quanto disposto dal suo art. 1, è espressa attuazione. Detta intesa aveva stabilito che la disciplina introdotta con le leggi regionali avrebbe avuto «validità temporalmente definita, comunque non superiore a 18 mesi dalla loro entrata in vigore»: se è vero che erano fatte salve «diverse determinazioni delle singole regioni», deve tuttavia osservarsi che una stabilizzazione del regime derogatorio (come prevista dalla L.R. Siciliana n. 23 del 2021), come anche una sua durata più che decennale (come prevista dalla L.R. Siciliana n. 2 del 2022), è del tutto incompatibile con la validità temporalmente definita e limitata posta a fondamento della disciplina sul piano casa. Deve essere dichiarata, pertanto, l’illegittimità costituzionale dell’art. 37, comma 1, lettera c), numero 1), della L.R. Siciliana n. 23 del 2021 e dell’art. 8, comma 1, lettera b), della L.R. Siciliana n. 2 del 2022.