Con la sentenza del 10 marzo 2023, n. 2559, il Consiglio di Stato, sez. VI, ha affermato che l’inserimento di strutture funzionali alla balneazione costituisce una modalità di utilizzo del bene paesaggistico che non può tradursi nella deprivazione del valore naturalistico e culturale che deve essere preservato in modo prioritario. La conservazione della dimensione naturale e identitaria della costa costituisce, quindi, l’esigenza primaria con la quale devono coniugarsi le possibilità di sfruttamento per ragioni turistiche e ricreative, che sono, tuttavia, da considerarsi secondarie nel quadro assiologico che discende dalla Costituzione. In quest’ottica la realizzazione di strutture funzionali alla balneazione costituisce un’eccezione rispetto alla primaria necessità di conservazione del sostrato materiale che si offre alla percezione umana, e che, ordinariamente, può ammettersi solo laddove temporalmente limitata alla specifica stagione della balneazione.
Il TAR Puglia – Lecce aveva evidenziato come la L.r. della Puglia n. 17/2015 consentisse il mantenimento per tutta la stagione delle strutture facilmente amovibili; di conseguenza, gli enti preposti alla tutela paesaggistica ed ambientale avrebbero dovuto supportare l’imposizione di un simile obbligo con l’indicazione di esigenze di protezione dell’ambiente diverse ed ulteriori rispetto a quelle ritenute compatibili con l’esistenza dell’impianto nel periodo balneare.
Le Amministrazioni appellanti hanno censurato la sentenza di primo grado, deducendo che le norme richiamate siano volte a consentire la permanenza delle strutture solo durante la stagione balneare.
Ad avviso del Consiglio, i territori costieri compresi in una fascia della profondità di 300 metri dalla linea di battigia sono considerati aree tutelate per legge ex art. 142, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2004, rientrando, quindi, nella categoria dei beni paesaggistici di cui all’art. 136 del medesimo articolato normativo. La scelta legislativa assegna, quindi, protezione giuridica ai territori costieri, preservandoli da possibili lesioni esteriori che possano intaccare non solo la dimensione naturalistica ma, altresì, collettiva e identitaria che caratterizza le coste. Deve, infatti, considerarsi come il percorso normativo in tema di tutela dei beni paesaggistici muova da una concezione relazionale delle ragioni del valore culturale cui la tutela è funzionale. Il paesaggio non è, infatti, considerato nella sua dimensione strettamente territoriale e indifferenziata, ma, dando continuità alla matrice dell’accezione storicistica di paesaggio, nell’essere “rappresentazione materiale e visibile dell’identità nazionale, in quanto espressione di valori culturali” (art. 131, comma 2, del D.Lgs. n. 42/2004). Il paesaggio ha, quindi, un immanente valore culturale che emerge, del resto, dalla stessa disposizione di cui all’art. 9, comma 2, della Costituzione.
In queste coordinate generali si ascrivono, pertanto, anche le coste alle quali la previsione di cui all’art. 142, comma 1, lett. a), del D.Lgs. n. 42/2004, assegna quel valore culturale immanente alla nozione giuridica di paesaggio e che costituisce, al contempo, la ragione fondante e il parametro della tutela. Il valore culturale del paesaggio costiero si afferma non soltanto in ragione del dato di natura (che in sé risulterebbe tutelabile mediante strumenti diversi, calibrati sugli aspetti ambientali e naturali), ma in considerazione della valenza identitaria che le coste assumono, quali parti della “forma” del Paese e testimonianze materiali della storia millenaria di una penisola che ha avuto nelle proprie coste il crocevia delle partenze, dei ritorni e degli approdi degli uomini e delle civiltà che hanno concorso a determinare l’identità della Nazione italiana.
All’interno di questa cornice (composta dalle ragioni della tutela e dai tasselli del valore culturale che i paesaggi costieri esprimono) devono inserirsi le tematiche oggetto della controversia. Il tema relativo all’utilizzo della costa per esigenze legate alla balneazione non può, infatti, esulare da tale cornice.
Ad avviso del Consiglio, l’inserimento di strutture funzionali alla balneazione costituisce una modalità di utilizzo del bene paesaggistico che non può, tuttavia, tradursi nella deprivazione del valore naturalistico e culturale che deve essere preservato in modo prioritario. La conservazione della dimensione naturale e identitaria della costa costituisce, quindi, l’esigenza primaria con la quale devono coniugarsi le possibilità di sfruttamento per ragioni turistiche e ricreative, che sono, tuttavia, da considerarsi secondarie nel quadro assiologico che discende dalla Costituzione.
In quest’ottica la realizzazione di strutture funzionali alla balneazione costituisce un’eccezione rispetto alla primaria necessità di conservazione del sostrato materiale che si offre alla percezione umana, e che, ordinariamente, può ammettersi solo laddove temporalmente limitata alla specifica stagione della balneazione. In sostanza, l’ordinamento ammette la realizzazione di tali strutture (che realizzano, comunque, l’interesse sociale ed economico ad una certa modalità di fruizione della spiaggia) ma l’interpretazione delle regole che abilitano simile possibilità non può non tener conto di come la stessa riguardi un bene paesaggistico che, pertanto, deve essere “restituito” nella sua dimensione naturale ed identitaria una volta che la stagione balneare sia terminata.
La conclusione raggiunta sul piano dei principi trova ulteriore conferma nelle specifiche regole in materia che, alla luce di tali principi, devono interpretarsi ed applicarsi. In particolare, la previsione di cui all’art. 8, comma 5, della L.r. della Puglia n. 17/2015 (secondo la quale “ai fini demaniali marittimi, le strutture funzionali all’attività balneare, purché di facile amovibilità, possono essere mantenute per l’intero anno solare”), lungi dall’imporre – quale regola ordinaria – il mantenimento delle strutture per l’intero anno solare, deve, piuttosto, ritenersi eccezione limitata ai casi in cui tale possibilità non incida sulle ragioni del paesaggio costiero, come in precedenza delineate. Deve, infatti, considerarsi come la concezione relazionale del valore culturale del paesaggio che permea il sistema normativo vigente si articoli in plurime direzioni, con diversità di intensità e di sfumature. In sostanza, i beni paesaggistici costieri (come gli altri beni paesaggistici), pur nell’unitaria valenza culturale e identitaria che l’ordinamento riconosce loro, possono esprimere peculiari valori in ragione, ad esempio, delle particolari qualità naturalistiche del luogo, del costituire lo stesso oggetto di rappresentazione pittorica o letteraria, o teatro di vicende storiche o di un determinato ambiente socio-economico e del suo evolversi nel tempo.
In simili situazioni, l’esigenza di giuridificazione del valore da preservare risulta, chiaramente, più accentuata e, conseguentemente, le concrete misure di tutela risultano particolarmente stringenti. In altri casi, al contrario, le caratteristiche del concreto paesaggio costiero potrebbero risultare tali da richiedere una tutela meno intensa. Ed è in relazione a tali situazioni che può ipotizzarsi l’applicazione della regola in esame, operante, in ogni caso, solo a seguito di una valutazione concreta da parte dell’Autorità competente in materia che apprezzi la compatibilità di un simile utilizzo della costa per periodi ulteriori rispetto alla stagione balneare ove il valore paesaggistico possa non risultare, in tal modo, alterato.
Alla luce di tali considerazioni deve rovesciarsi l’interpretazione della regola formulata dal Giudice di primo grado che intravvede nella stessa una previsione di portata generale e ordinaria, volta a consentire la permanenza delle strutture per l’intero anno solare e che, invece, è da ritenersi eccezione all’obbligo di rimozione che, come esposto, restituisce al bene costiero la propria dimensione naturale e identitaria. Ciò vale, a fortiori, nel caso di specie atteso che non è revocabile in dubbio il particolare pregio paesaggistico dell’area costiera salentina che, pertanto, deve essere conservata nel suo aspetto naturale e inedificato, una volta che siano cessate le esigenze connesse alla stagione balneare.
Alla luce delle considerazioni svolte il Consiglio di Stato ha accolto l’appello delle Amministrazioni.