NEW_I PRESUPPOSTI DELLA C.D. FISCALIZZAZIONE DELL’ABUSO A SEGUITO DELL’ANNULLAMENTO DEL TITOLO EDILIZIO di Giuseppe Marletta

 

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Il Consiglio di Stato interviene su uno dei temi più ambigui del diritto urbanistico, ossia sulle condizioni di applicabilità dell’art. 38 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Come noto, infatti, la suddetta disposizione consente alla parte che ha fatto affidamento su un titolo edilizio successivamente annullato, di sanare la pendente situazione di illegittimità, attraverso il pagamento di una sanzione pecuniaria pari al valore venale delle opere, o loro parti, abusivamente eseguite (c.d. fiscalizzazione dell’abuso). Ciò, però, solo in presenza di due condizioni eterogenee, che devono essere discrezionalmente valutate dall’Amministrazione: 1) la prima, attiene all’impossibilità della rimozione dei vizi delle procedure amministrative; 2) la seconda, invece, all’impossibilità della rimessione in pristino.

Nel caso prospettato dinanzi alla Corte, i due appellanti avevano a suo tempo chiesto ed ottenuto un permesso di costruire per spostare e rilocalizzare una “tea” tradizionale (ossia una costruzione di legno con tetto a doppia falda tipica dell’Alto Adige). Ciò al fine di trasformarla in abitazione, anche attraverso la realizzazione di alcuni vani interrati e ampliamenti esterni.

Ebbene, dopo aver eseguito l’intervento edilizio, il permesso di costruire era stato impugnato da una vicina. Successivamente, a seguito del procedimento giurisdizionale, lo stesso veniva definitivamente annullato con sentenza passata in giudicato. Il Comune, allora, decideva di sanare ex art. 38 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, la porzione dell’edificio che non comportava un ampliamento illegittimo, ordinando la demolizione del resto. Attesa, infatti, l’impossibilità di eliminare i vizi della procedura, la rimessione in pristino avrebbe comportato il ricollocamento dell’edificio nella posizione originaria, ossia all’interno di una fascia di rispetto nei pressi di un torrente con rischio esondazione, nonché presso la zona terminale di una frana attiva. Tale rimessione era, pertanto, giudicata impossibile.

La questione sottoposta all’attenzione del Collegio, riguardava il rispetto dei presupposti applicativi dettati dall’art. 38 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380.

Tuttavia, vista la genericità di questa disposizione, e la conseguente difficoltà nello stabilire precisamente cosa debba intendersi per “vizi delle procedure amministrative” e per “impossibilità” della riduzione in pristino, quest’ultima decideva di rimettere la questione dinanzi all’Adunanza Plenaria (Cons. Stato, Ad. Pl., 7 settembre 2020, n. 17).

Secondo i predetti Giudici amministrativi, “i vizi cui fa riferimento l’art. 38 sono esclusivamente quelli che riguardano forma e procedura che, alla luce di una valutazione in concreto operata dall’amministrazione, risultino di impossibile rimozione”. Mentre, al contrario, nel caso in cui i vizi del titolo siano di tipo sostanziale, e quindi comportanti un “insanabile contrasto del provvedimento autorizzativo con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica”, non si potrebbe far altro che escludere l’applicabilità del regime di fiscalizzazione dell’abuso.

Facendo applicazione di questi principi, il Collegio considera pienamente legittimo l’operato del Comune. Ed infatti, la fiscalizzazione dell’abuso sarebbe congrua, oltre che logica, per la parte dell’edificio storico che non può essere rimessa in pristino, per problemi attinenti al territorio circostante. Mentre, per quanto riguarda l’ampliamento realizzato in maniera abusiva, l’insanabile contrasto del provvedimento autorizzativo con le norme di programmazione e regolamentazione urbanistica, impedendone in radice la fiscalizzazione, giustificherebbe la legittimità della conseguente demolizione.