La valorizzazione turistica delle aree demaniali marittime

di 11 Gennaio 2006 Incontri

Articolo del Prof. Paolo Urbani pubblicato in Edilizia e Territorio n.1/2006

 

vedi anche: La finanziaria 2006 e gli insediamenti turistici di qualità

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La valorizzazione turistica delle aree demaniali marittime

di Paolo Urbani

Tra i provvedimenti legislativi che ormai da qualche anno puntano alla valorizzazione dei beni pubblici ma anche alla cessione ai privati – tra i quali spiccano le numerose norme legate alla dismissione del patrimonio pubblico – nel testo della legge finanziaria 2006 ai commi da 583 a 593, il governo, dopo le anticipazioni meridionaliste fatte qualche mese fa sulla stampa dal Ministro dell’economia pro tempore, ripropone la “valorizzazione”, in questo caso, delle aree demaniali marittime a fini turistici attraverso un insieme complesso di procedimenti amministrativi pluristrutturati che coinvolge necessariamente tutte le amministrazioni pubbliche competenti in materia di governo del territorio, i soggetti privati imprenditori e finanziatori e le stesse amministrazioni statali in rapporto alle loro competenze.

In gioco vi sono principalmente le utilizzazioni a scopo turistico-ricreativo delle aree demaniali – le coste ma anche l’entroterra contiguo a queste aree – attraverso la promozione di proposte d’insediamenti turistici “di qualità d’interesse nazionale” “destinate ad attrarre flussi turistici anche internazionali” per favorire l’ampliamento della base occupazionale, nei luoghi ove si realizzino tali insediamenti, mediante l’assunzione di un numero di addetti non inferiore a 250 unità. Quest’ultimo costituisce un vincolo, in verità difficilmente verificabile nel tempo, per la presa in considerazione delle proposte insediative.

La disciplina della concessione dei beni demaniali marittimi è disciplinata dal codice della navigazione (art.36 e seg.) modificato già a suo tempo dalla l.494 del 1993 che all’art.1 ha voluto declinare tra le attività “compatibili con le esigenze del pubblico uso” oltre alla “gestione di stabilimenti balneari anche quella di strutture ricettive ed attività ricreative sportive, gli esercizi commerciali ed i servizi di altra natura e conduzione di strutture ad uso abitativo compatibilmente con le esigenze di utilizzazione del precedenti categorie”.

Con la seconda regionalizzazione (DPR 616/77 art.59) le funzioni in materia di rilascio delle concessioni demaniali marittime per finalità turistico-ricreative sono state delegate alle regioni che le esercitano ormai da tempo, anche in convenzione organizzativa con le capitanerie di porto, attraverso la predisposizione, tra l’altro, dei piani spiaggia di competenza comunale. I criteri direttivi per la determinazione dei canoni sono fissati molto analiticamente dalla legge 494/93 e sulla competenza alla percezione dei canoni dopo la delega alle regioni è dovuta intervenire la Corte Cost. con sent.21 luglio 1995 n.343 che ne ha ribadito la riserva allo stato poichè il canone demaniale segue la titolarità domenicale del bene.

Fin qui la disciplina che le norme in commento in parte derogano poichè prevedono che – per questa tipologia d’insediamenti turistici – non si applichino le disposizioni della legge 494/93 né per quanto riguarda la durata delle concessioni né tantomeno per la determinazione del canone di occupazione e d’uso del suolo pubblico, stabilendo quindi che la misura del canone (e la durata) ha natura “negoziale” determinata dall’atto di concessione. E qui, come in occasione della dismissione del patrimonio pubblico (dl.282/2002 conv. nella l.27/2003), il legislatore per “guadagnare” le regioni e gli enti locali al consenso alle iniziative imprenditoriali-edilizie sul proprio territorio, prevede a loro favore e distintamente una quota degli introiti dei canoni nella misura del 20%, mantenendosi comunque ferma la disciplina delle vicende concessorie previste dal codice della navigazione (revoca, sub-ingresso, decadenza, estinzione).

E veniamo al contenuto delle proposte che a stare al testo normativo si presentano come particolarmente impattanti con l’assetto territoriale non solo sotto il profilo delle volumetrie e del carico urbanistico ma anche sotto quello delle opere di mobilità, dei servizi e delle connesse infrastrutture che devono essere ricomprese nelle proposte, oltre che del già citato livello occupazionale impiegato che permette d’immaginare l’estensione dell’intervento insediativo. Grandi villaggi turistici valutati in via prioritaria se finalizzati al recupero e alla bonifica di aree compromesse sotto il profilo ambientale e di impianti industriali dimessi.

Per il resto non vi sono grandi novità rispetto alla categoria dei proponenti: enti locali singoli o associati, i costruttori secondo le modalità dell’art.10 della l.109/94, enti finanziatori ed anche promotori immobiliari, fondi immobiliari, soggetti gestori di servizi turistici e residenziali. Già quattordici anni fa con la l.179/92 s’introdussero i programmi integrati d’intervento, presentati da soggetti pubblici e privati anche riuniti in consorzio, che avevano la stessa finalità, ovvero quella di esprimere un favor del legislatore per interventi edilizi di riqualificazione “di una dimensione tale da incidere sulla riorganizzazione urbana” anche in contrasto con le previsioni degli strumenti urbanistici. In questo caso qui si passa dalle aree urbane alle coste.

Destinataria delle proposte dei “promotori” è la regione che qui assomma le competenze in materia di governo del territorio ma anche quella della titolarità nel rilascio delle concessioni d’uso esclusivo delle aree demaniali marittime a fini turistico-ricreativi che si pone come vero e proprio filtro ineliminabile dell’avvio del procedimento di valutazione delle iniziative – la cui redazione tecnica (si parla di modelli) è però subordinata ad un regolamento da emanarsi entro sessanta giorni da parte del Ministero delle attività produttive di concerto con quello dell’ambiente, dei trasporti e dell’economia – che dovrebbero contenere un non meglio precisato “studio di fattibilità ambientale”, il piano finanziario degli investimenti, il sistema complessivo delle opere infrastrutturali e dei servizi connessi all’esercizio delle attività turistiche. La regione, entro tempi assai stretti – novanta giorni – individua quelle meritevoli di accoglimento e che potrebbero anche essere rimodulate dalla regione stessa in rapporto alla soddisfazione degl’interessi pubblici, e le trasmette a tutti i soggetti interessati per competenza (tra cui i comuni, le province, i ministeri dell’ambiente, delle attività produttive, dei beni culturali, dei trasporti cui compete per legge esprimersi). A questo punto s’innesta un altro procedimento di valutazione da parte dei soggetti coinvolti che nel termine capestro di trenta giorni dalla ricezione degli atti esprime il proprio avviso anche con proposte di modifiche o di introduzione di ulteriori prescrizioni, ma il silenzio di queste equivale a rilascio tacito del provvedimento di assenso delle proposta presentata.

Sembra questo un tentativo del legislatore per dequotare la rilevanza giuridica dell’accordo di programma di cui all’art.34 del tu 267/2000 che la regione promuove ai fini dell’approvazione definitiva dell’insediamento turistico proposto e che richiede l’unanimità della decisione da parte di tutte le amministrazioni coinvolte: nel caso del verificarsi del silenzio assenso si potrebbe argomentare che per queste si sia già espressa la volontà decisoria. Ma anche questa non sembra una misura acceleratoria plausibile poiché in fase di accordo le amministrazioni mantengono intatti i propri poteri decisori anche in rapporto alla proposta complessiva che potrebbe essere stata oggetto di modifiche da parte degli altri soggetti interessati. Peraltro va osservato che in caso di variazione degli strumenti urbanistici, l’adesione del sindaco all’accordo dev’essere ratificata a pena di decadenza entro trenta giorni dal consiglio comunale, che quindi resta dominus delle scelte di pianificazione che incidono sul proprio territorio. Tra l’altro il comma 591 citando gli effetti dell’accordo di programma prevede anche la sostituzione delle “concessioni edilizie” con evidente svista poiché queste hanno assunto il nomen di permessi di costruire in base al tu dell’edilizia 380/2001: potrebbe essere una svista ma potrebbe anche trattarsi del segno rivelatore di una proposta normativa assai risalente e tirata fuori dal cassetto, come spesso avviene, per infilarla nel testo di una finanziaria!

Inoltre, la disposizione contempla il caso in cui sulle stesse aree vi siano più proposte concorrenti: in tal caso si dovrebbe ricorrere, secondo il comma 592, al procedimento di evidenza pubblica di cui all’art.37 quater della l.109/94. Ciò significa utilizzare per questi interventi la finanza di progetto che tuttavia comporta al centro del project finance l’insediamento turistico considerato come opera di pubblica utilità ma con il vincolo della sua gestione, presupposto ineliminabile della finanza di progetto. La complessità degli interventi che s’intuiscono dalla lettura delle norme comprensivi anche di opere pubbliche di mobilità, servizi etc. potrebbe richiedere l’integrazione del prezzo ovvero la previsione di contributi pubblici per mantenere in equilibrio la proposta economico-finanziaria e questo impone la gara tra più promotori. Ma l’evidenza pubblica non è invece garantita nel caso in cui si tratti di un’unica proposta che dovrebbe comunque prevedere contributi pubblici per le finalità previste visto che le opere pubbliche connesse sono un elemento necessario della proposta, con evidenti profili d’illegittimità nel rilascio della concessione.

Infine, quasi si trattasse di proposte “caritatevoli” e non di investimenti privati con ampio ritorno economico il comma 593 indugia nel prevedere non solo l’applicazione per gli interventi edilizi di un regime agevolato e cioè della riduzione o eliminazione del contributo di costruzione (costo di costruzione ed oneri di urbanizzazione) ma anche l’eliminazione o la riduzione dell’ICI sugli immobili realizzati.

Sulla capacità di innestare sviluppo durevole nelle aree del mezzogiorno attraverso insediamenti turistici di qualità non compete che si esprima un giurista, tuttavia si potrebbero riprendere le dichiarazioni del presidente della regione Sardegna Renato Soru che più volte in questi mesi sulla stampa ha messo in evidenza che i villaggi turistici già esistenti sulle coste sarde non hanno favorito lo sviluppo economico dell’isola sia perché nella realizzazione degl’interventi, i progetti, i materiali, gli arredi, le maestranze, provengono sempre dall’esterno dell’isola, sia perché l’occupazione temporanea del personale di servizio si riduce a poco meno di tre mesi l’anno.