Verso la costituzionalizzazione dell’ambiente di Pierluigi Mascaro

Verso la costituzionalizzazione dell’ambiente

 

di Pierluigi Mascaro

 

Il 3 novembre 2021 il Senato della Repubblica ha approvato, in seconda deliberazione e con maggioranza superiore ai due terzi, il Disegno di Legge Costituzionale n. 83, recante modifiche agli articoli 9 e 41 della Carta fondamentale, al fine di giungere ad una riforma costituzionale che introduca la tutela dell’ambiente come principio fondamentale della Repubblica. La proposta di legge torna all’esame della Camera dei deputati per la seconda deliberazione, che potrà tenersi non prima di tre mesi dalla data della prima deliberazione, ovvero non prima del 12 gennaio 2022. Qualora anche la Camera approvasse la proposta con maggioranza superiore ai due terzi dei componenti, la legge costituzionale sarà promulgata senza dover attendere i tre mesi previsti per l’eventuale richiesta di un referendum confermativo.

La formulazione originaria dell’art. 9 Cost., al secondo comma, afferma che la Repubblica “tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione”, non menzionando esplicitamente il bene giuridico dell’ambiente. La proposta di riforma definisce ambiente ed ecosistemi come diritti fondamentali della persona e della comunità, imponendo altresì alla Repubblica di operare nella direzione del miglioramento delle condizioni ambientali in generale, proteggendo la biodiversità e promuovendo il rispetto degli animali. Inoltre, le suddette tutele si fonderebbero sul principio diprecauzione, che impone l’adozione di misure di protezione anche nell’incertezza scientifica della verificazione di un danno all’ambiente.

L’art. 41 Cost., così come arrivato ai nostri giorni, liberalizza l’iniziativa economica privata, purché non si svolga “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”, rinviando alla legge l’indirizzo di tale iniziativa a fini sociali. La novella allargherebbe questi ultimi fini a quelli ambientali e sanitari, affermando che nessuna iniziativa possa essere in concorso di un danno nei confronti di questi due beni giuridici.

L’idea del Legislatore di assurgere al rango costituzionale la tutela dell’ambiente ci sembra corretta dal punto di vista della sistematica dei principi fondamentali, anche se rileva alcune criticità e ridondanze all’interno della Costituzione stessa e all’esterno di essa, sul piano comunitario ed internazionale.

In Italia, gran parte del diritto ambientale è attualmente regolato dal d.lgs. n. 152/2006 – c.d. Codice dell’ambiente – e successive modificazioni, trovando altre disposizioni nei codici o in altre fonti primarie.

E’ dunque evidente che il Legislatore, sino ad oggi, abbia giustificato la sua attività normativa ambientale in fonti costituzionali e principi dell’ordinamento preesistenti al ddl n. 83. La legislazione ordinaria in materia ambientale, infatti, ravvede le sue fonti costituzionali, oltre che nell’art. 9 Cost., negli artt. 32, 42 e 44 della Carta. Allo stesso modo, è evidente che, in ossequio agli artt. 10 e 11 Cost., l’Italia s’impegni a sussumere il bene giuridico ambiente nei trattati internazionali o nelle fonti comunitarie.

Qualora la riforma costituzionale dovesse venire alla luce, sarebbe comunque la legge ordinaria (specie in sede amministrativa) a normare la materia ambientale, definendo i limiti d’inquinamento dell’iniziativa economica e anche le regole di funzionamento per garantire ambiente, salute ed ecosistemi. Di conseguenza, la costituzionalizzazione dell’ambiente si risolverebbe in una dichiarazione di principio atta a conferire al medesimo il rango di valore costituzionale supremo, piuttosto che in una manovra realmente volta a porre l’ordinamento nella condizione di poter assicurare un ecosistema salubre alle generazioni future.

La norma sull’iniziativa economica privata (art. 41 Cost.) incontra particolari limitazioni pratiche nelle norme del Codice dell’ambiente e, più in generale, all’art. 2043 c.c. in materia di risarcimento per fatto illecito. Quest’ultimo inciso ci spiega che la vera “rivoluzione ambientale” non necessiterebbe una riforma costituzionale, quanto più una corretta applicazione della riserva di legge, affinché tramuti i principi costituzionali in certezza del diritto. Un passo non facile da compiere per il Legislatore, in quanto l’ambiente e la salute non sono, nel sistema costituzionale, diritti assoluti ed esclusivi, ma vanno costantemente bilanciati con gli altri diritti e le altre libertà dei consociati, prima tra tutti l’iniziativa economica privata.

Giacché tutelare l’ambiente significa non inquinare, la legge ordinaria o, come spesso accade, la decretazione d’emergenza, definiscono cos’è e come si può riconoscere il fenomeno dell’inquinamento in senso stretto. Il paradosso dei c.d. “decreti salva-Ilva”, censurati dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo che li ha ritenuti oltraggiosi, da parte dello Stato, dei diritti umani (sent. 24 gennaio 2019, nn. 54414/13 e 54264/15), ci aiuta a comprendere come essi, anche qualora la riforma costituzionale si verificasse, potrebbero continuare ad essere prodotti dalla politica, perché in Costituzione non si potrebbe certo stabilire il limite di ogni sostanza inquinante! Ciò rileva come il sistema VIA(Valutazione d’Impatto Ambientale) – AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), fondamentale nella limitazione dell’inquinamento prodotto dalle grandi industrie, abbia dimostrato, nel caso Ilva, tutta la sua fallacia, considerando la possibilità di rimodulare i limiti degli inquinanti a seconda delle esigenze economiche non del singolo soggetto, ma dello Stato. Se questo sistema avesse funzionato, il processo “Ambiente Svenduto” non si sarebbe neppure instaurato.

Per questa ragione è utile prendere in considerazione la proposta della VIIAS (Valutazione Integrata d’Impatto Ambientale e Sanitario), di cui al ddl. n. 1011, presentato il 23 gennaio 2019 in Senato, che unirebbe e renderebbe più funzionali la succitata VIA e la VIS (Valutazione d’Impatto Sanitario). Citando il ddl “La VIIAS non valuta esclusivamente i limiti delle emissioni inquinanti cui le aziende dovranno attenersi, ma indica in maniera predittiva, tramite modelli scientifici, quale sarà l’impatto delle maggiori emissioni nel contesto ambientale in cui l’impresa opera o desidera operare, tenendo peraltro conto dell’impatto ambientale e sanitario delle autorizzazioni già rilasciate”. La VIIAS sarebbe, dunque, il presupposto logico-giuridico per avviare il procedimento amministrativo dell’AIA con delle maglie più strette per i siti inquinanti come industrie siderurgiche, chimiche e farmaceutiche, ecc.

Questa potrebbe essere una via di corretto e proficuo utilizzo degli strumenti legislativi ordinari a tutela di un ambiente salubre, al di là di quale sarà l’esito della riforma costituzionale.