Tra la tutela paesaggistica e la valorizzazione di antichi immobili rurali, di Lorenzo Ieva

T.A.R. Puglia-Bari, sez. III, 14 aprile 2025, n. 514 – Pres. V. Blanda, Est. L. Ieva

PPTR Puglia – Ulteriori contesti – valorizzazione antichi immobili rurali.

Conferenza d servizi – natura ed effetti.

La conferenza di servizi è quel modulo di semplificazione procedimentale, che rappresenta il luogo di sintesi degli interessi, che si confrontano nel procedimento (ex multis: Cons. St., sez. IV, 31 ottobre 2022, n. 9429; 17 settembre 2021, n. 6336), avuto riguardo agli interessi talora concorrenti (primari e secondari, pubblici e privati). E, quindi, investe anche “la «qualità» delle valutazioni effettuate in conferenza” (Cons. st., sez. IV, 10 settembre 2021, n. 6245), invero “a tal fine giovandosi dell’esame dialogico e sincronico degli stessi” (Cons. St., sez. IV, 3 novembre 2016, n. 4600), secondo il c.d. metodo conferenziale sincrono o asincrono che sia, fondato sulla contestualità valutativa.

La regola operativa della conferenza di servizi è incentrata sulla conclusione, formata sulla base delle posizioni prevalenti, espresse dalle amministrazioni partecipanti, che non è fondato su un criterio di carattere meramente quantitativo, ma è intesa a fissare l’esigenza, tipica del modulo decisorio de quo, della valutazione contestuale e condivisa degli interessi pubblici coinvolti, tal da superare il metodo di gestione «isolata» e «frammentaria» del procedimento (o dei procedimenti connessi, o collegati) e degli svariati interessi pubblici e privati sottesi, sulla scorta di un apprezzamento congiunto degli stessi, indipendentemente dalla relativa imputazione soggettiva, la cui sintesi viene raggiunta sulla base delle «posizioni prevalenti», emerse in seno alla conferenza, dall’autorità procedente (ex multis, Cons. St., sez. III, 23 marzo 2022, n. 2127).

Pertanto, la determinazione conclusiva della conferenza di servizi (decisoria) deve recare una congrua motivazione, che deve essere formulata sulla base di una valutazione attenta e ponderata di prevalenza quali-quantitativa, circa le varie posizioni espresse dalle amministrazioni partecipanti. Più specificamente, è stato ritenuto che è “illegittima la determinazione conclusiva della Conferenza di servizi ostativa al rilascio dell’autorizzazione unica […], motivata genericamente sulla base del parere negativo della sola Soprintendenza [come di qualsiasi altra amministrazione], dal momento che la decisione deve formarsi sulla base delle posizioni prevalenti espresse dalle Amministrazioni partecipanti alla Conferenza” (così Cons. St., sez. IV, 22 gennaio 2024, n. 667). Difatti, resta ferma l’autonomia del potere dell’autorità procedente, la quale deve determinarsi, con proprio provvedimento “dotato di adeguata motivazione” (Cons. St., sez. V, 29 aprile 2020, n. 2724; 6 novembre 2018, n. 6273).

Direttiva VIA – natura giuridica – contenuti – effetti.

Sul punto, va premesso che la direttiva VIA (2011/92/UE come mod. da 2014/52/UE) si applica alla valutazione dell’impatto ambientale dei progetti pubblici e privati, che possono avere un impatto ambientale significativo e consiste in un procedimento comprendente: i) un rapporto preliminare di VIA, ii) lo svolgimento di consultazioni; iii) l’esame delle informazioni contenute nel detto rapporto e delle altre informazioni supplementari e/o pertinenti acquisite; iv) la conclusione motivata in merito agli effetti significativi del progetto sull’ambientev) l’integrazione della conclusione motivata, con le misure per evitare, prevenire, o ridurre e, se possibile, compensare gli effetti negativi significativi sull’ambiente, nonché, ove opportuno, con le misure di monitoraggio (art. 1). La VIA ha riguardo i progetti che hanno un significativo impatto ambientale, per la loro natura, le loro dimensioni, o la loro ubicazione (art. 2). La VIA individua, descrive e valuta gli effetti significativi (diretti e indiretti) di un progetto sui seguenti fattori: a) popolazione e salute umana; b) biodiversità, con particolare attenzione alle specie e agli habitat protetti (direttiva 92/43/CEE e direttiva 2009/147/CE); c) territorio, suolo, acqua, aria e clima; d) beni materiali, patrimonio culturale e paesaggio; e) interazione tra tutti i predetti fattori (art. 3). Del pari, il d.lgs. n. 152 del 2006 ne ha recepito i postulati all’interno della disciplina tracciata nel Titolo III “La valutazione d’impatto ambientale”.

Quanto alla natura giuridica della VIA, oggetto di precipua disamina nella predetta conferenza di servizi, essa costituisce una procedura tecnico-amministrativa, che ha lo scopo di individuare, descrivere e valutare, in via preventiva alla realizzazione delle opere, gli effetti sull’ambiente biogeofisico, sulla salute e sul benessere umano di determinati progetti pubblici o privati, nonché di identificare le misure atte a prevenire, eliminare o rendere minimi gli impatti negativi sull’ambiente.

Secondo la giurisprudenza prevalente (ex multis: Cons. St., sez. IV, 4 ottobre 2024, n.7987; 16 luglio 2024, n. 6387; 8 aprile 2024, n. 3204) la valutazione di impatto ambientale si sostanzia non già in una verifica analitica tecnica, circa l’astratta compatibilità ambientale dell’opera programmata, bensì in un giudizio sintetico globale di tipo comparativo, tra il “sacrificio” imposto all’ambiente (esternalità negativa), per come si presenta, e la “utilità” socio-economica (esternalità positiva), derivante dalla realizzazione di un’opera, tenendo conto anche delle alternative possibili e dei riflessi della c.d. opzione zero; non è dunque né un mero atto tecnico, né un atto di amministrazione in senso stretto, trattandosi di un atto-parere, con il quale viene esercitata una funzione di indirizzo, con riferimento al corretto uso del territorio (in senso ampio), attraverso la cura ed il bilanciamento della molteplicità di (contrapposti) interessi pubblici (urbanistici, naturalistici, paesistici, nonché di sviluppo economico-sociale) e privati.

Talché la VIA deve contenere “le motivazioni e le considerazioni su cui si fonda la decisione” (art. 25, comma 3, d.lgs. n. 152 del 2006); l’amministrazione, che recepisce la VIA, deve adottare, a sua volta, un atto espresso adeguatamente motivato (art. 26, comma 1, d.lgs. n. 152 del 2006; art. 3 legge n. 241 dl 1990); ergo, l’autorità competente conclude la procedura di VIA “[…] con provvedimento motivato ed espresso, sulla base degli esiti della Conferenza di servizi […], esprimendosi contestualmente sulle osservazioni, i contributi e le controdeduzioni […]” (cfr. art. 13 legge Regione Puglia 12 aprile 2001, n. 11 recante “Norme sulla valutazione dell’impatto ambientale”).

Piani paesaggistici e “Ulteriori contesti”

In base all’art. 143 (Piano paesaggistico), comma 1, lett. e), d.lgs. n. 42 del 2004, l’elaborazione del piano – oramai diverso nei contenuti rispetto a quello degli esordi della legislazione in materia – comprende anche la“individuazione di […], ulteriori contesti, diversi da quelli indicati all’articolo 134, da sottoporre a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione”; mentre, i beni di cui all’art. 134 (Beni paesaggistici) stricto sensu sono: “a) gli immobili e le aree di cui all’articolo 136, individuati ai sensi degli articoli da 138 a 141 [vincolati ex actu]; b) le aree di cui all’articolo 142 [vincolati ex lege]; c) gli ulteriori immobili ed aree specificamente individuati a termini dell’articolo 136 e sottoposti a tutela dai piani paesaggistici previsti dagli articoli 143 e 156 [vincolati da piano]”.

Gli ulteriori contesti sono dunque sottoposti “a specifiche misure di salvaguardia e di utilizzazione”, per come elaborate dal PPTR. Il Piano paesaggistico territoriale della regione Puglia (approvato con delibera del 16 febbraio 2015, n. 176), all’art. 6, suddivide: “Le disposizioni normative del PPTR […] in – indirizzi – direttive – prescrizioni – misure di salvaguardia e utilizzazione – linee guida”. Al riguardo, gli studiosi hanno puntualmente rilevato come il PPTR della Regione Puglia, tra i primi e più moderni in Italia, sia stato costruito come uno “strumento complesso”, finalizzato non solo alla tutela dei valori paesistici esistenti, bensì anche indirizzato verso la promozione di varie forme di valorizzazione del paesaggio, anche attraverso attenti processi di recupero e di riqualificazione, nonché di realizzazione di nuovi valori paesistici. Indirizzi, direttive, linee guida e in grande misura anche le c.d. misure di salvaguardia e utilizzazione sono rivolte ai soggetti pubblici pianificatori; mentre, solo le prescrizioni costituiscono norme vincolanti e cogenti anche per i privati (in termini, v. art. 6 PPTR Puglia).

Mentre le “prescrizioni” sono “disposizioni conformative del regime giuridico dei beni paesaggistici volte a regolare gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite. Esse contengono norme vincolanti, immediatamente cogenti, e prevalenti sulle disposizioni incompatibili di ogni strumento vigente di pianificazione o di programmazione regionale, provinciale e locale” (art. 6, comma 4, PPTR); le diverse “misure di salvaguardia e utilizzazione”, relative agli “ulteriori contesti come definiti all’art. 7 co. 7 in virtù di quanto previsto dall’art. 143 co. 1 lett. e) del Codice [dei beni culturali e del paesaggio], sono disposizioni volte ad assicurare la conformità di piani, progetti e interventi con gli obiettivi di qualità e le normative d’uso di cui all’art. 37 e ad individuare gli usi ammissibili e le trasformazioni consentite per ciascun contesto” (art. 6, comma 5, PPTR).

Pertanto, le “misure di salvaguardia e utilizzazione”, per gli UPC, implicano e non già precludono la possibilità di realizzare interventi e progetti, purché conformi con “obiettivi” (e non già con minute prescrizioni) di qualità, che quindi disvelano usi ammissibili e trasformazioni consentibili di ciascun contesto paesistico, che si apprezza proprio come combinazione simbiotica della naturalità dei luoghi per come già plasmati dall’intervento umano pregresso.

A riprova, ex art. 7, comma 7, del PPTR Puglia, gli “Ulteriori contesti” sono costituiti “dagli immobili e dalle aree sottoposti a specifica disciplina di salvaguardia e di utilizzazione ai sensi dell’art. 143, comma 1, lett. e) del Codice, finalizzata ad assicurarne la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione, secondo le disposizioni di cui al Titolo VI delle presenti norme […]”. Mentre, nel richiamato art. 37 (Individuazione degli obiettivi di qualità e delle normative d’uso) del PPTR citato, è precisato quanto segue: – al comma 3 che gli obiettivi di qualità “indicano, a livello di ambito, le specifiche finalità cui devono tendere i soggetti attuatori, pubblici e privati, del PPTR perché siano assicurate la tutela, la valorizzazione ed il recupero dei valori paesaggistici riconosciuti all’interno degli ambiti, nonché il minor consumo del territorio”; – al comma 4, che il perseguimento degli obiettivi di qualità “[…] è assicurato dalla normativa d’uso costituita da indirizzi e direttive […]”; – al comma 4-bis, che “Le disposizioni normative di cui innanzi, con particolare riferimento a quelle di tipo conformativo, vanno lette alla luce del principio in virtù del quale è consentito tutto ciò che la norma non vieta”.

Ciò posto, non a caso, in base all’art. 89 (Strumenti di controllo preventivo) del PPTR, per i soli “beni paesaggistici” stricto sensu, è stato previsto lo strumento autorizzativo rigido, in funzione di controllo “forte”, della (classica) “autorizzazione paesaggistica”; mentre, per “gli ulteriori contesti” è stato contemplato il diverso più flessibile strumento di controllo, in funzione di parere “debole”, del (mero) “accertamento di compatibilità paesaggistica”, ossia di quella diversa procedura tesa ad acclarare la “compatibilità” degli interventi, con gli obiettivi del PPTR, che contemplano sì la tutela (rectius: la conservazione), ma anche la riqualificazione e la valorizzazione dei luoghi, dovendosi considerare, nell’ambito dell’armonizzazione dei nuovi interventi al contesto territoriale, il principio per cui “è consentito tutto ciò che la norma non vieta” (così l’art. 37, comma 4-bis, PPTR Puglia).

Orbene, le misure inerenti “la conservazione, la riqualificazione e la valorizzazione” non escludono, ma anzi implicano la considerazione di “usi ammissibili e [di] trasformazioni consentite”, com’è più volte detto nel PPTR Puglia. Ad esempio, le “misure di salvaguardia e di utilizzazione”, per l’area delle componenti culturali insediative, ricadenti in zone a destinazione rurale “alla data di entrata in vigore del presente piano”, si applicano talune preclusioni, ma sono sempre consentite le realizzazioni di “annessi rustici e di altre strutture connesse alle attività agro-silvo-pastorali e ad altre attività di tipo abitativo e turistico-ricettivo” (art. 82, commi 1 e 3, punto b7), del PPTR); ancora, per i paesaggi rurali, in sede di “accertamento di compatibilità paesaggistica”, si considerano non ammissibili tutti gli interventi in contrasto con gli obiettivi di qualità e le normative d’uso “fatta eccezione di quelli che comportano trasformazioni urbanistiche, ove consentite dagli atti di governo del territorio” (art. 83, comma 2, punto a3), PPTR) e quindi anche da varianti urbanistiche, come nel caso di specie.

Tal essendo la natura dei c.d. “ulteriori contesti” (art. 143, comma 1, lett. e), d.lgs. 42 del 2004), si è affermato in proposito dell’insorgenza di vincoli (in senso atecnico) del c.d. quarto tipo, ossia non rientranti nelle più classiche figure del vincolo da provvedimento, del vincolo ex lege e del vincolo da piano paesistico. Ciò in quanto, gli “ulteriori contesti” vengono apprezzati nei piani, che li prevedono, non quali territori vincolati da prescrizioni cogenti e prevalenti, ma da meri indirizzi ed obiettivi, suscettibili di apprezzamento, in sede di precipua approvazione degli interventi, ad opera dell’autorità amministrativa, al fine della riqualificazione e della valorizzazione, all’interno sì della cornice dell’ulteriore contesto, ma pur sempre in chiave evolutiva del bene e non già in chiave solo preclusiva rispetto a qualsiasi ipotesi di modificazione.

Tanto vero è che i PPTR di nuova concezione – com’è quello vigente nella Regione Puglia, che ha sostituto il previgente PUTT/P (piano urbanistico territoriale tematico per il paesaggio), redatto ai sensi della legge n. 431 del 1985 e, quindi, riferito soltanto ad alcune aree del territorio regionale – tendono ad estendere la propria considerazione alla pressoché quasi totalità del territorio regionale e non solo ai beni oggetto di vincolo in senso classico (ovverosia derivante da provvedimento, ex lege, o da piano paesistico tradizionale). Diversamente opinando, sarebbe preclusa qualsiasi utilizzazione del territorio extraurbano consolidato, la qual cosa invero non sembra affatto sia stata mai prevista né da alcuna fonte normativa né da alcuna pianificazione territoriale.