Licenza d’uso, abitabilità, agibilità e ora segnalazione certificata di agibilità: come orientarsi fra le diverse denominazioni e nei procedimenti amministrativi oggetto di ripetute riforme? di Francesca Pedace

Per anni l’agibilità di un edificio è stata provata attraverso un apposito certificato, appunto il certificato di agibilità, la cui introduzione risale agli artt. 220 (abrogato) e 221 del R.D. n. 1265/1934 modificato dal D.P.R. n. 425/1994 ora abolito. Oggi la disciplina dell’agibilità trova collocazione nel D.P.R. n. 380/2001 (Testo Unico sull’Edilizia) che all’art. 24 stabilisce che questa connota gli edifici dove sussistono le condizioni di sicurezza, igiene, salubrità e risparmio energetico valutati secondo quanto dispone la normativa vigente. Inizialmente, in realtà, se ne parlava come di un requisito che un immobile doveva avere ai soli fini sanitari e non anche come un concetto legato all’edilizia. Di fatto dal 1934 fino alla emanazione della Legge Ponte del 1967 non si sono avute modifiche sostanziali di questa concezione. Fu solo con la L. 765/1967 che si iniziò a parlare della “dichiarazione di abitabilità o di agibilità” dal solo punto di vista edilizio legandola alla demolizione e ricostruzione degli immobili. Al D.P.R. 425/1994 spettò invece il compito di inserire l’obbligo per le opere indicate dal predetto art. 220 R.D. 1265/1934 (costruzioni di nuove case, urbane o rurali, quelli per la ricostruzione o la sopraelevazione o per modificazioni che comunque possono influire sulle condizioni di salubrità delle case esistenti) di allegare alle domande di abitabilità la documentazione adatta a consentirne il rilascio.

 

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