La sanatoria giurisprudenziale sopravvive o no? di Francesca Pedace

di 28 Marzo 2022 Articoli

sentenza 4625/2022

La recentissima sentenza della Cassazione Penale n. 4625 del 10 febbraio 2022 ha riportato in auge un dibattito dottrinario che sembrava essere stato sepolto anni fa circa l’ammissibilità della sanatoria giurisprudenziale (o “impropria”) a fronte dell’introduzione, nel nostro ordinamento, del principio della doppia conformità.

Al fine di meglio esporre la questione è bene, tuttavia, fare una breve premessa.

La sanatoria è un provvedimento necessario a regolarizzare quelle situazioni in cui si è agito senza le prescritte autorizzazioni necessarie ad effettuare interventi su un immobile preesistente.

Quella giurisprudenziale, non disciplinata dal D.P.R. 380/01, è basata sulla singola conformità delle opere illecite alla disciplina urbanistico-edilizia vigente al momento della presentazione dell’istanza di sanatoria (sul punto Cons. Stato, Sez. V, 19 aprile 2005 n. 1796) mentre quella edilizia, disciplinata dagli artt. 36 e 37 del D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia) e, prima ancora, dall’art. 13 della L. 47/85, richiede l’applicazione del principio della “doppia conformità” in virtù del quale gli interventi in sanatoria devono conformarsi sia alle disposizioni del Piano Regolatore Generale vigente al momento della realizzazione dell’opera che a quelle vigenti al momento della richiesta della sanatoria.

Gli stessi testi degli art. 36 e 37 T.U.E. testualmente riportano che:

  • in caso di interventi realizzati in assenza di permesso di costruire o SCIA (o in difformità da essi) fino alla scadenza dei termini di cui agli artt. 31 co. 3, 33 co. 1, 34 co. 1 e, comunque, fino all’irrogazione delle sanzioni amministrative, il responsabile dell’abuso o l’attuale proprietario dell’immobile possono ottenere il permesso in sanatoria se l’intervento risulta conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dello stesso sia al momento della presentazione della domanda;
  • ove l’intervento realizzato risulti conforme alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al momento della realizzazione dell’intervento sia al momento della presentazione della domanda, il responsabile dell’abuso o il proprietario dell’immobile possono ottenere la sanatoria dell’intervento versando la somma stabilita dal responsabile del procedimento in relazione all’aumento di valore dell’immobile valutato dall’agenzia del territorio[1].

Da quanto sopra si evince facilmente che la sanatoria edilizia presenta dei requisiti ben più stringenti di quelli della sanatoria giurisprudenziale la quale, di fatto, ove applicata, consentirebbe la legittimazione postuma di opere originariamente abusive successivamente divenute conformi alle norme edilizie o agli strumenti di pianificazione urbanistica per via della loro evoluzione normativa.

Occorre dunque chiedersi se la stessa possa o meno applicarsi ancora.

L’orientamento favorevole al permanere dell’applicazione della sanatoria giurisprudenziale si fonda sulla pretesa esigenza di ispirare l’esercizio del potere di controllo sull’attività edificatoria dei privati al buon andamento della P.A. (art. 97 Cost.) che imporrebbe, in sede di accertamento di conformità ex art. 36 T.U.E. di accogliere l’istanza di sanatoria per quei manufatti che ben potrebbero essere realizzati sulla base della disciplina urbanistica attualmente vigente ancorché non conformi alla disciplina vigente al momento della loro realizzazione per evitare uno spreco di attività inutili[2].

In senso contrario si è fatto notare che detta sanatoria, così facendo, ripudia il principio della doppia conformità espressamente definito dal T.U.E. e dalle leggi precedenti violando, di fatto, il principio di legalità per privilegiare, almeno apparentemente, l’attuazione del principio del buon andamento della P.A. decretandone così la prevalenza sul primo in nome di una presunta logica “efficientista”[3].

La sentenza della Cassazione Penale n. 4625 del 10 febbraio 2022 si sofferma proprio su questo.

La vicenda alla sua base trae origine dal rigetto di un incidente di esecuzione relativo ad un ordine di demolizione contenuto in una sentenza del 2015. Avverso il suddetto provvedimento l’istante proponeva ricorso per Cassazione articolando un unico motivo con il quale lamentava che il giudice adito con incidente di esecuzione sarebbe stato tenuto a sospendere o a revocare l’ingiunzione di demolizione disposta dall’autorità inquirente in esecuzione di una sentenza irrevocabile in presenza di un titolo in sanatoria legittimamente emesso, cosa che, nel caso di specie, gli veniva contestata per insussistenza della doppia conformità trattandosi la sua, appunto, di sanatoria impropria.

Gli Ermellini, nell’affrontare la questione, hanno insomma avuto modo di puntualizzare che:

  • «la sanatoria giurisprudenziale è stata radicalmente superata dallo stesso Consiglio di Stato che ne ha rilevato, già numerosi anni orsono, il contrasto con il principio di legalità che deve comunque presiedere all’operato della P.A., in assenza di qualsivoglia disposizione del diritto positivo che contemplasse un siffatto istituto (vds. Cons. St. Sez. 4, n. 4838, 17 settembre 2007), con l’ancor più autorevole avallo dei giudici della Consulta che hanno sottolineato come la sanatoria (…) è stata deliberatamente circoscritta dal legislatore ai soli abusi “formali”, ossia dovuti alla carenza del titolo abilitativo, riposando la sua ratio, di “natura preventiva e deterrente”, nell’obiettivo di frenare l’abusivismo edilizio, in modo da escludere letture “sostanzialiste” della norma che consentano la possibilità di regolarizzare opere in contrasto con la disciplina urbanistica ed edilizia vigente al momento della loro realizzazione, ma con essa conformi solo al momento della presentazione dell’istanza per l’accertamento di conformità»;
  • sarebbe comunque illegittimo il rilascio di un titolo abilitativo in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformità agli strumenti urbanistici, in quanto «detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla già avvenuta esecuzione delle opere (e ciò in quanto il D.P.R. n. 380 del 2001, art. 36 si riferisce esplicitamente ad interventi già ultimati) e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica»[4].

Quest’ultimo approdo giurisprudenziale ci porta ad esporci su come sia ormai acclarato l’abbandono di detta tipologia di sanatoria a favore di un approccio più stringente e garantista qual è quello dell’attuale sanatoria edilizia dove il punto di equilibrio fra efficienza e legalità è stato individuato dal Legislatore nel consenso alla sanatoria dei soli abusi formali[5].

Si evita così un sacrificio degli interessi dei privati che abbiano violato le sole norme procedimentali dell’attività edificatoria e una più logica applicazione dei principi di efficienza e buon andamento della P.A. che sarebbero irrimediabilmente violati ove agli aspetti formali si desse un peso preponderante rispetto a quelli sostanziali.

[1] Testo degli artt. 36 e 37 del D.P.R. 380/2001 (T.U. Edilizia)

[2] Cassazione penale, Sez. III, 10/11/2020, n. 21039

[3] T.A.R. Lombardia, Milano, Sez. II, 9 giugno 2006 n. 1352

[4] Cassazione Penale n. 4625 del 10 febbraio 2022

[5] Commento alla sentenza Cassazione penale, Sez. III, 10/11/2020 n. 21039, La “sanatoria giurisprudenziale” consiste nel riconoscimento della legittimità di opere abusive che dopo la loro realizzazione siano divenute conformi alle norme edilizie, Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2021, Fasc. 4, pag. 1411