La reiterazione del vincolo a contenuto espropriativo implica la previsione di indennizzo

di 29 Maggio 2002 Lavori Pubblici


Commento a Cons. Stato, Sez. IV, Sent. 13 dicembre 2001, n.6238
di Maria Difino


CONSIGLIO DI STATO, SEZ. IV – Sentenza 13 dicembre 2001 n. 6238 –Pres. Venturini, Est. La Medica – Comune di Colognola ai Colli (Avv. Sala) c. Fiorini ed altri (Avv.ti Trabucchi e Franchi) e Pozza (n.c.) -(conferma T.A.R. Veneto, sez. I, 24 maggio 2001, n. 1215)

2. Vincoli a contenuto espropriativo – Reiterazione – Adozione di variante parziale al P.R.G. – Motivazione adeguata – Previsione di un indennizzo – Necessità.

3. Vincoli a contenuto espropriativo – Reiterazione – Indennizzo – Previsione dello stanziamento per l’espropriazione dei terreni – Insufficienza.

La reiterazione del vincolo imposto sull’area, con la delibera del consiglio comunale di adozione di variante parziale al P.R.G., necessita di adeguata motivazione e di una seppure generica indicazione del relativo indennizzo.

Non può considerarsi sufficiente ad assolvere l’onere dell’indicazione dell’indennizzo la previsione dello stanziamento per l’espropriazione dei terreni, essendo diversi i relativi titoli.

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Il tema della previsione di indennizzo e della motivazione in ipotesi di reiterazione di vincoli urbanistici preordinati all’esproprio torna ancora all’attenzione dei giudici amministrativi con la sentenza in commento che ha accolto, sotto questi profili, le censure mosse alla deliberazione consiliare del comune di Colognola ai Colli il quale, adottando una variante parziale al PRG, veniva a confermare previsioni di piano contenenti il vincolo di destinazione ad edifici e servizi pubblici, già scaduti nel 1997. Di queste problematiche, seppure da una prospettiva diversa, il Consiglio di Stato si era già occupato, ultimamente, con una decisione assunta in sede di Adunanza Plenaria. Nel caso che ci occupa la censura del giudice di prima istanza, condivisa dal Consiglio di Stato, riguardo alla inadeguatezza della motivazione addotta dall’amministrazione nel provvedimento di reiterazione del vincolo scaduto attraverso l’adozione della variante, non sembra porre particolari problemi. Con la sentenza del Consiglio di Stato -Adunanza Plenaria n.24 del 22 dicembre 1999 è stato infatti affermato, alla luce della sentenza Corte Costituzionale n. 179/99, il principio secondo cui è necessario l’obbligo di motivazione specifica del provvedimento di variante agli strumenti urbanistici solo nelle ipotesi in cui si configuri un affidamento qualificato del privato, come ad esempio quando siano ravvisabili situazioni di “consolidazione” di posizioni in casi di atti convenzionali di attuazione degli strumenti urbanistici tali da generare l’affidamento del privato o, ancora, in ipotesi in cui una certa situazione di aspettativa abbia assunto giuridica rilevanza a seguito di un intervenuto accertamento giurisdizionale della illegittimità del diniego di concessione edilizia o del silenzio-rifiuto sulla domanda edilizia in relazione alle previgenti indicazioni di piano. Nel caso di una variante di reiterazione dei vincoli urbanistici a contenuto espropriativo, invece, secondo questo giudice, non è ravvisabile alcun affidamento, ossia nessuna aspettativa qualificata ad una particolare destinazione edificatoria in relazione a precedente determinazione dell’amministrazione, ma soltanto un’aspettativa generica ad una reformatio in melius analoga a quella di ogni altro proprietario di area che aspira ad una utilizzazione più proficua dell’immobile.

Il Consiglio di Stato non manca di precisare che ciò che aveva fino ad allora indotto la giurisprudenza a ravvisare la necessità di una motivazione polverizzata nel provvedimento di reiterazione dei vincoli era da collegare non alla tutela di un affidamento del proprietario dell’area – in analogia alle situazioni sopra elencate – bensì all’incisione della sua sfera soggettiva.
Tuttavia, dopo la sentenza 179/99, la quale ha sancito che la reiterazione implica la previsione di indennizzo, viene meno, per l’appunto, il fondamento del costrutto della motivazione polverizzata. Tutto questo, nondimeno, non esclude la necessità di una motivazione che non può che essere “adeguata” altrimenti tanquan non esset circa le esigenze urbanistiche che sono a fondamento della variante di reiterazione.
Gli avocati giudici, nel caso di specie, hanno evidentemente ritenuto che le ragioni portate dal Comune di Colognola ai Colli nel provvedimento di reiterazione del vincolo, atteso che si fa riferimento esclusivamente alla circostanza che «in passato le opere previste in loco non erano state realizzate per mancanza di fondi e di tempo», non vengano a soddisfare neppure i presupposti minimi ed imprescindibili della motivazione generica che avrebbe dovuto esplicitare – come si diceva – quelle specifiche esigenze urbanistiche che sono a fondamento della variante medesima. Sotto l’altro profilo, vale a dire quello della previsione di indennizzo, la questione appare, invece, più ricca di spunti di riflessione. La censura del giudice di prima istanza e del Consiglio di Stato poi, si appunta sul fatto che nella impugnata deliberazione comunale non sia contemplata una seppur generica previsione di indennizzo. In particolare viene ritenuto privo di rilievo ed insufficiente a soddisfare il presupposto giuridico, la circostanza che il vincolo fosse stato ricostituito dopo l’approvazione del progetto definitivo dell’opera, il quale conteneva gli appositi stanziamenti per l’espropriazione dei terreni: ciò per la ragione che l’indennizzo (correlato alla reiterazione del vincolo) e l’indennità di espropriazione, hanno titoli diversi: il primo costituito dalla limitazione della disponibilità del bene, la seconda dalla definitiva ablazione. Con l’incisione ad opera del vincolo il proprietario non viene del tutto privato né della facoltà di disposizione del bene, né della facoltà di godimento, che invece costituiscono il presupposto essenziale del diritto di proprietà; il che rende chiaramente irragionevole rapportare esattamente il valore della diminuzione patrimoniale alla indennità di esproprio vera e propria. Non vi è dubbio che, per quanto il pregiudizio subito per via del vincolo si articola probabilisticamente in una serie di maggiori diminuzioni vieppiù che si avvicina il momento finale per l’attuazione dell’esproprio definitivo, l’ammontare dell’indennità dovuta in caso di reiterazione di vincoli espropriativi non può mai superare quella dovuta in sede di espropriazione definitiva, atteso che quest’ultima ristora un pregiudizio patrimoniale ben più consistente di quello verificatosi nel primo caso e costituito dalla totale privazione di ogni facoltà di godimento e di disposizine spettante al soggetto ablato. La diminuzione patrimoniale dovuta alla reiterazione del vincolo espropriativo è, quindi, concettualmente autonoma da quella ristorata e/o ristorabile con l’indennità di esproprio. Tant’è che il proprietario inciso risente della suddetta diminuzione patrimoniale anche nelle ipotesi in cui, per svariate ragioni, l’espropriazione definitiva non dovesse più verificarsi, con la conseguenza che questa autonomia ne postula, de plano, la cumulabilità con l’indennità di esproprio dovuta in sede espropriativa, attesa la diversa natura e la differente ontologia tra i due eventi ristorati.

 

E’ proprio la sentenza della Corte Costituzionale 179/99 a sottolineare questa evidenza [1] e a prefigurare una nuova tipologia di valore convenzionale, una sorta di “indennità di inattuata previsione” finalizzata a ristorare il danno derivante alla proprietà per il mancato passaggio a strumenti attuativi nell’intervallo dei cinque anni dalla legge del 1968 [2].
Il fattore caratterizzante questo nuovo e diverso sacrificio rispetto al danno per ablazione da evento espropriativo vero e proprio, si ragguaglia nella maggior parte dei casi, ad una “diminuzione del valore di scambio o di utilizzabilità” dipendente da diverse variabili individuate dalla stessa Consulta, 1) nel mancato uso normale del bene, 2) nella riduzione di utilizzazione, 3) nella diminuzione di prezzo di mercato (locativo o di scambio) rispetto alla situazione giuridica antecedente alla pianificazione che ha imposto il vincolo.

 

Seguendo le linee di questo ragionamento correttamente i giudici amministrativi hanno “bocciato” sul punto il provvedimento emesso dall’amminstrazione di Colognola ai Colli, doverosamente rimarcando che l’esistenza di un progetto definitivo non comporta di per sé la certezza che l’espropriazione sarà portata a compimento sulla base dello stesso, e che il proprietario riceverà il relativo ristoro, il che rende naturalmente necessaria una separata previsione dell’indennizzo per la reiterazione, seppure in forma generica. In effetti mi sembra di poter dire che sulla diversità dell’incisone del diritto dominicale del proprietario ad opera di fattispecie come quelle appena riferite, che hanno natura ben differenziata, non alberghino dubbi: l’espropriazione configura un’ipotesi di ablazione totale del bene con trasferimento ad altro soggetto, legittimata da ragioni di pubblico interesse e per il quale la Costituzione all’art. 42 c. 3° riconosce espressamente l’indennizzo; il vincolo urbanistico si inquadra, invece, in quella che rappresenta esplicazione del potere conformativo della proprietà che, tuttavia, superando il sottile equilibrio tra funzionalizzazione sociale e garanzia del diritto dominicale del singolo, varca la soglia di quel “contenuto minino del diritto di proprietà” tanto da realizzare una forma di espropriazione larvata e, conseguentemente da giustificare una previsione di indennizzo [3]. Dopo la sentenza della Corte Costituzionale 179/99, nuovamente investita del problema della indennizzabilità dei vincoli urbanistici, è stato finalmente fissato l’importante principio che la soglia oltre la quale la limitazione posta al diritto del proprietario diviene intollerabile e necessita una forma di ristoro è il periodo, c.d. di franchigia, di cinque anni. Dopo di che dev’essere previsto un indennizzo, la cui determinazione specifica, investendo molteplici variabili, la Corte Costituzionale ha ritenuto di rimettere, giustamente, al legislatore. La particolarità sta nel fatto che è la stessa Consulta che espressamente esclude che la pronuncia possa configurarsi sia come caducatoria, in quanto questo inevitabilmente determinerebbe una gravissima ripercussione sul complesso dei poteri di programmazione del territorio che le pubbliche amministrazioni devono comunque poter continuare ad esercitare, nelle more dell’intervento legislativo, nonostante la intervenuta scadenza dei vincoli, sia come additiva vera e propria [4]. Dovendosi escludere altresì la riduzione a sentenza meramente monitoria [5], la soluzione più calzante sembrerebbe essere quella di riconoscerle natura di sentenza “additiva di principio”[6]. Solo riconoscendo che questa sentenza abbia introdotto nel nostro ordinamento una “norma di principio” sull’obbligo di indennizzare i proprietari in ipotesi di lesione da attività legittima della pubblica amministrazione -come appunto nel caso di reiterazione dei vincoli urbanistici -si giustica il capo della sentenza che ammette, nelle more dell’intervento legislativo, il potere suppletivo del giudice il quale, una volta accertata la natura espropriativa dei vincoli, può ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione dell’obbligazione indennitaria. Ora, seguendo questo ragionamento e per dare un senso anche a questo capo di una sentenza così importante qual è indubbiamente la 179/99, l’unica soluzione, per  non rimanere inviaschiati in ragionamenti che ci porterebbero solo a girare intorno ad un passaggio particolarmente criptico di questa pronuncia, sarebbe quella di convenire sulla conclusione che con tale ultima pronuncia, sia stato introdotto nell’ordinamento vigente anche questo nuovo principio[7]. D’altronde è la Corte stessa che si porta ad affermare che per i vincoli derivanti da pianificazione urbanistica(…), l’obbligo specifico di indennizzo deve sorgere una volta superato il primo periodo di ordinaria durata temporanea (…) del vincolo.

 

Questo comporta che, pur nell’attesa di un intervento legislativo che fissi criteri e parametri per la liquidazione dell’indennizzo, il principio è oramai affermato. E’ qui il vero nodo problematico della questione dell’indennizzo dei vincoli espropriativi. In realtà l’aver affermato un principio non equivale all’aver introdotto una disposizione di legge [8]. E se non v’è ancora nell’ordinamento vigente una norma che definisca uno specifico obbligo al quale, in caso di violazione, conseguirà un effetto invalidante, ci si domanda che tipo di vizio affligga il provvedimento del comune di Colognola ai Colli allorché non abbia contemplato, nel suo deliberato, quella “seppure generica previsione di indennizzo”. A nulla porta il tentativo di ricondurre, nel catalogo di uno dei vizi che canonicamente inficiano l’atto amministrativo, questo tipo di omissione (il non aver, cioè, previsto un indennizzo), dovendosi escludere che possa evidentemente parlarsi (per le accezoni che le sono proprie) sia di vizio di violazione di legge sia di eccesso di potere [9]. Da una attenta lettura della sentenza 179/99 si vede però che quando parla di previsione di indennizzo la Corte si riferisce sempre alla norma che non la contempla, sanzionandola quindi per illegittimità costituzionale, e al vincolo urbanistico che, nella previsione normativa, non può essere dissociato, in via alternativa all’esproprio(…) dalla previsione  di indennizzo.

 

Per altro verso poi, forse la locuzione necessità della previsione di indennizzo potrebbe essere letta come “necessità della corresponsione di indennizzo”. L’attualità del sacrificio imposto al privato ne imporrebbe, razionalmente, un ristoro identicamente attuale, anche perché il precetto costituzionale che si pretende violato è ravvisato nell’art. 42, 3° co. della Costituzione, che è norma tutta protesa a porre fondamentali garanzie per la tutela della proprietà privata; sicchè l’indennizzo dovuto rappresenta proprio il compenso normativamente fissato, per la diminuzione patrimoniale subita nella sfera economico-giuridica del soggetto nell’ambito specifico del diritto di proprietà e non altri valori pure costituzionalmente sanciti; a questa si aggiunga un’altra considerazione sul fatto che, per esplicito dettato della Corte, i vincoli indennizzabili sono solo quelli preordinati all’esproprio in relazione ai singoli beni, e non altri tipi di vincoli. Tanto più che, dal momento che la Corte riconosce al giudice competente sulla richiesta di indennizzo, nelle more di un intervento legislativo, il potere di ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione dell’obbligazione indennitaria, ci si domanda ancora che valenza pratica possa avere una siffatta generica previsione di indennizzo, se non apparire come una sterile formula di stile che le pubbliche amministrazioni devono non dimenticare di aggiungere in calce alla narrativa della delibera di reiterazione per non incorrere nella impugnazione del provvedimento stesso. E poi, ci si domanda ancora, dal momento che il giudice può ricavare dall’ordinamento le regole per la liquidazione dell’indennizzo, se la stessa non possa essere fatto direttamente dalla pubblica amministrazione, in questo modo evitando di gravare il privato di un ulteriore passaggio qual è quello della istanza giudiziale, volendosi scartare dalla mente anche solo l’ipotesi paradossale di un intento sostanzialmente riduzionista della decisione dell’Adunanza Plenaria rispetto alla pronuncia della Corte Costituzionale, nel senso che sarebbe da escludere non solo per l’amministrazione ma anche per il giudice la possibilità di soddisfare un legittimo diritto. Ed in effetti nel caso di specie l’aver annullato la delibera consiliare nella parte in cui non è indicato, seppure genericamente, la previsione del relativo indennizzo non dà nessun valore aggiunto al proprietario se non la inutile ripetizione di un principio ormai pacifico e assunto nell’ordinamento vigente (quello della obbligatoria indennizzabilità dei vincoli dopo il periodo di franchigia), dal momento che in ogni caso, dopo che il Comune di Colognola ai Colli avrà adeguato il provvedimento alla decione contenuta in sentenza e aggiunto seppur “genericamente”che, anche per la reiterazione del vincolo, dovrà essere previsto un indennizzo, distinto e diverso da quello dovuto per l’espropriazione, ciò non avrà sollevato il proprietario dal dover instaurare un nuovo giudizio per la liquidazione dello stesso. Tanta fatica per niente! Tutto questo disquisire potrebbe trovare una battuta d’arresto definitiva con l’entrata in vigore, del Testo Unico in materia di espropriazione per pubblica utilità che come noto avrebbe dovuto avvenire il 1 gennaio 2002, ma è attualmente sospeso per effetto di un decreto legge. Per colmare il vuoto normativo venutosi a creare per effetto della sentenza 179/99 della Corte Costituzionale circa le conseguenze della legittima reiterazione del vincolo espropriativo, l’art. 39 del TU dispone che al proprietario, nei casi di reiterazione del vincolo preordinato all’esproprio o di un vincolo sostanzialmente espropriativo, vada erogata un’indennità commisurata all’entità del danno effettivamente prodotto. In considerazione del fatto che il proprietario continua, nonostante la sussistenza del vincolo, ad utilizzare la propria area, la legge pone a carico di quest’ultimo l’onere di provare il danno effettivamente subito a causa della reiterazione del vincolo stesso. Il secondo comma, invece, è stato concepito proprio per evitare gli effetti aberranti della mancata previsione dell’indennizzo nel provvedimento amministrativo che, come si è appena visto anche con la sentenza in commento, in tal caso, lo rendevano illegittimo. Ora, grazie alla nuova previsione normativa, l’indennizzo è dovuto direttamente dalla legge, e va corrisposto entro un termine ben definito, ossia entro due mesi dalla data in cui il proprietario ha formulato la domanda. Solo decorso inutilmente tale termine può essere adito il giudice competente che il legislatore individua espressamente nella Corte d’Appello. Altra importante precisazione viene fatta allorché si esclude espressamente che al momento della espropriazione vera e propria si tenga conto della somma corrisposta a seguito della reiterazione del vincolo. Il legislatore ha cioè seguito la regola del cumulo proprio in virtù del fatto che le vicende della reiterazione e quella dell’esproprio comprimono – come poc’anzi detto – facoltà di natura diversa ed autonoma.

Maria Difino


NOTE

[1] Mi riferisco al paragrafo 8, secondo capoverso, della sentenza  che recita: “…esistono molteplici variabili che non possono essere definite in sede di legittimità costituzionale…in quanto detto indennizzo non è nella totalità dei casi (in ciò sta la netta differenza rispetto alla diversa – anche per natura – indennità di esproprio) rapportabile a perdita di proprietà”.

 

[2] M D’Amato : in Rivista Giuridica dell’Edilizia, 2000, pag. 247 e segg.

[3] P.Urbani – S. Civitarese Matteucci,  Torino 2000, pag. 63 e segg.

[4] Paragrafo 8 della sentenza 179/99 laddove è detto che “

[5] Essendo chiaramente dichiarata la incostituzionalità della delle disposizioni impugnate: S.Civitarese Matteucci, , in Diritto Pubblico 1999 n. 3, pag. 813 e segg.

[6] Di quelle sentenze, cioè, con le quali la Corte Costituzionale non immette  nell’ordinamento una regola immediatamente applicabile, ma solo un principio derivante dalla Costituzione, cui il legislatore dovrà attenersi nella disciplina futura del medesimo oggetto: T. Martines, , Milano 1998, 639, richiamando A. Anzon.

[7] Di particolare interesse sono tuttavia le perplessittà sollevate sul delicato punto da attenta dottrina, cfr.: S.Civitarese Matteucci, , nota 23, pag. 823

[8] Si è detto come è la stessa Corte ad escludere espressamente la natura additiva alla sentenza allorché afferma che la determinazione concreta dell’indennizzo in conseguenza della reiterazione di vincoli urbanistici, esistendo molteplici variabili,  non può essere definita in sede di verifica di legittimità costituzionale con una sentenza additiva.

 

[9] Sul punto sia consentito di rinviare a Maria Difino, in  Ferrari, Saitta, Tigano  (a cura di) , Milano 2001 , pag. 323 e segg.