La provincia nell’attuazione e nel completamento del nuovo ordinamento costituzionale.

di 3 Maggio 2005 Enti Locali

Il profilo istituzionale della Provincia sulla fine della XIII Legislatura e al momento dell’entrata in vigore della l. cost. n. 3/2001, che ha radicalmente modificato il nostro quadro di riferimento, è fondamentalmente quello delineato dal t.u. approvato con d. l.vo. 18.8.2000 n. 267; testo che costituisce, se così possiamo dire, il precipitato normativo di tutte le innovazioni assai consistenti che hanno caratterizzato la legislazione degli anni 90 sul governo locale,  segnatamente per quanto riguarda la provincia.

 

           

Questo antico ente del governo locale, una volta contestato nella sua stessa esistenza, si puo’ dire acquista una connotazione istituzionale forte e solida e un profilo chiaro in termini funzionali, soltanto a seguito di questa legislazione.
            Anzitutto la provincia diviene, senza piu’ alcun equivoco, ente di governo della propria comunità, chiamato a curarne gli interessi, a promuoverne e a coordinarne lo sviluppo (art. 3). Cio’ che elimina ogni dubbio residuo circa la configurazione della provincia come ente a fini generali. A mio giudizio (ma non di tutti) essa lo è sempre stata ma sulla base di questa normativa lo è indiscutibilmente.
E così acquista piena autonomia statutaria, normativa, organizzativa e amministrativa nonché autonomia impositiva e finanziaria sia pure nell’ambito delle leggi che coordinano la finanza pubblica. La provincia diviene altresì come il comune, per espressa disposizione di legge, titolare di funzioni proprie, tipiche del suo stesso esistere come ente di governo, oltre che di quelle conferite dalla legge dello Stato o della regione secondo la rispettiva competenza.
            E la stessa normativa definisce sia pure in larga massima l’ambito delle funzioni proprie della provincia distinguendo quelle amministrative e quelle di programmazione. Tra le prime la norma dopo un’elencazione abbastanza ricca di materie (da quelle di tutela ambientale a quelle sanitarie a quelle di gestione del territorio e di viabilità a quelle concernenti la cultura e l’istruzione) dispone in termini generali che la provincia in collaborazione con i comuni e sulla base di programmi concordati “promuove e coordina attività, nonché realizza opere di rilevante interesse provinciale sia nel settore economico, produttivo, commerciale e turistico, sia in quello sociale, culturale e sportivo” (art. 19).
 Insomma la provincia si occupa di tutto cio’ che ritiene utile e necessario per gli interessi della propria comunità usando a tal fine gli strumenti predisposti dall’ordinamento da quelli di diritto comune alla disciplina prevista per la gestione dei servizi pubblici locali.
            Ma a queste funzioni di carattere amministrativo la norma aggiunge quelle di  programmazione economica e sociale del territorio, e la stessa pianificazione territoriale mediante l’adozione del piano territoriale di coordinamento (art. 20). In queste funzioni, come per altro ampiamente sottolineato da tutti i commentatori, propriamente viene esaltato il ruolo della provincia come ente di programmazione  che opera in posizione a volte sovraordinata a volte paritaria esercitando sempre compiti di coordinamento nei confronti degli enti locali. Si ricorda che la norma generale sopra menzionata attribuisce alla provincia non solo il compito di promuovere lo sviluppo ma quello di coordinarlo, il che significa che essa opera in stretta connessione con gli enti locali minori, comuni e associazioni di comuni coordinandone appunto l’azione di governo.
            L’attuazione delle leggi c.d. Bassanini nell’ultima fase degli anni 90 ha ulteriormente rafforzato il ruolo della provincia che è divenuta destinataria di importanti settori amministrativi nell’ambito dell’operazione di trasferimento. Basti ricordare quello della viabilità e quello delle politiche del lavoro, ormai divenute nella sostanza materie provinciali per tutto quanto non è riservato allo Stato.
            E si deve ancora ricordare in questo quadro generale, che un’importanza decisiva nella esaltazione del ruolo politico della provincia, sicuramente ha avuto  (ancora più che per il comune)  la riforma del 1993 sull’elezione diretta dei sindaci e dei presidenti di provincia: ché soprattutto nelle zone del Paese caratterizzate da una presenza di piccoli comuni salvo il comune capoluogo, zone cioè nelle quali l’ente provincia puo’ effettivamente svolgere un ruolo dominante anche per le sue dimensioni organizzative, l’elezione popolare del presidente ne fa in qualche modo il capo politico o il principale esponente politico della comunità provinciale, cio’ che necessariamente lo pone al centro, dal punto di vista politico di tutti gli enti del governo locale presenti nel territorio provinciale e dei loro amministratori.
            Alla fine del decennio, dell’amministrazione provinciale nel suo complesso si puo’ dare il seguente quadro quantitativo e funzionale.
Anzitutto Personale complessivamente in servizio, circa 60.000 unità, di cui 8.800 trasferite nell’ambito dell’operazione di decentramento di cui alla l. 59/97 (al netto del personale ATA trasferito allo Stato, in virtu’ dell’art. 8 della l. 124/99, ammontante a circa 10.000 unità); un complesso di entrate di poco superiore ai 10.000 miliardi di cui 5.400 di entrate proprie, 3.350 circa derivanti da trasferimenti erariali, 1.400 circa derivanti dal trasferimenti regionali.
            Questi dati raffrontati a quelli delle amministrazioni comunali appaiono ancora piuttosto esigui: ché il personale complessivamente in servizio presso i comuni ammonta a circa 500.000 unità e il complesso delle entrate comunali ammonta a 65.000 miliardi circa. Deve pero’ osservarsi che il recente trasferimento di funzioni ha in qualche modo privilegiato le provincie verso le quali sono state dirottate risorse che rappresentano circa il 40% delle risorse dirottate verso i comuni, in luogo del consueto 10% che da tempo le risorse provinciali rappresentano rispetto a quelle comunali.
            E ancora puo’ essere notata come una significativa inversione di tendenza la percentuale di mezzi propri delle provincie, rispetto ai trasferimenti, che nell’ultimo periodo è aumentata sino a superare il 50%; mentre tuttavia in ambito comunale supera ormai il 70% della finanza complessiva di questi enti.
            Quanto alle funzioni, il quadro delineato dal t.u. corrisponde grosso modo alla realtà anche se, deve essere osservata l’importanza che va assumendo il settore delle politiche del lavoro dopo il trasferimento attuato sulla base della l. 59/97; il rafforzamento delle funzioni di governo e gestione del territorio, dalla pianificazione alla tutela dell’ambiente, alla viabilità , e così quelle concernenti l’istruzione, la cultura e quelle concernenti lo sviluppo economico. In realtà la provincia si va configurando ormai come un ente di governo complessivo del proprio territorio anche se operante piu’ sul versante della programmazione e del coordinamento che sul versante dell’esercizio diretto delle funzioni e dei servizi, come dimostra peraltro la sua finanza ancora relativamente esigua.
            Nelle aree metropolitane caratterizzate cioè dalla presenza di comuni di grandissime dimensioni e di altri comuni “i cui insediamenti hanno con essi rapporti di stretta integrazione territoriale e in ordine alle attività economiche, ai servizi essenziali, alla vita sociale nonché alle relazioni culturali e alle altre caratteristiche territoriali” (art. 22 t.u.), la provincia dovrebbe trasformarsi in Città metropolitana: in un ente assai piu’ ricco di funzioni, che assomma in sé tutte le funzioni della provincia e molte di quelle comunali, e si articola non piu’ in comuni ma in amministrazioni municipali decentrate nell’ambito dell’area metropolitana. Invero questo processo, pur concepito dalla legge in maniera abbastanza elastica così da consentirne una attuazione graduale, ancora non parte; e percio’ allo stato, l’ente di area intermedia resta la provincia in tutte le situazioni territoriali, sia in quelle metropolitane che non.
Sul punto si deve tuttavia sottolineare l’importanza del passaggio istituzionale scandito a partire dalla l. 142/90 (dalla provincia alla citta’ metropolitana in tutte le aree metropolitane) perché invero il ruolo proprio e caratterizzante la provincia, di coordinamento, di programmazione e di pianificazione, si esercita proficuamente in un universo territoriale popolato da enti medio piccoli mentre si inceppa a fronte di enti di grandissima dimensione e sovrastanti la stessa provincia quali sono i comuni metropolitani.
            Non puo’ essere trascurato il processo concepito dalla legge per la costruzione della città metropolitana, tutto concertato tra gli enti territoriali coinvolti, la provincia, il comune capoluogo, gli altri comuni, che vede una fase intermedia nella quale, in attesa della costituzione della città metropolitana quale nuovo ente di governo, gli enti dell’area esercitano in modo coordinato tra loro e mediante forme associative, una serie di funzioni, dalla pianificazione territoriale alla difesa del suolo alla tutela dell’ambiente, alle attività culturali, etc. (art. 24 t.u.) che afferiscono tanto alla competenza provinciale che a quella comunale. Né puo’ essere trascurato questa volta in termini negativi, il fatto che questo processo non sia ancora decollato.
            E invero la provincia è fortemente coinvolta nel processo di aggregazione degli  enti locali minori cui è ispirata la piu’ recente legislazione (principi di sussidiarietà e di adeguatezza); ché i compiti di programmazione e di coordinamento spettanti alla provincia richiedono all’interno del suo territorio, la presenza di enti locali dotati di sufficiente capacità di governo così da potere interloquire nell’ambito di un complessivo disegno inteso alla gestione dei servizi e alla promozione dello sviluppo. E ha un certo significato, in questa prospettiva, la recente norma della legge finanziaria 2001 (art 52, n. 388/2000) che attribuisce alla provincia il compito di coordinare il processo associativo dei comuni imposto dall’operazione di trasferimento in attuazione della l. n. 59/97, attribuendo in via interinale alla provincia stessa le funzioni e i compiti destinati alle amministrazioni comunali in attesa della loro aggregazione associativa.
            Il nuovo quadro costituzionale inaugurato dalla l. cost. n. 3/2001, modifica profondamente i principi che reggono il governo locale nel nostro Paese nei suoi rapporti sia con la regione che con lo Stato, la sua capacità complessiva di amministrazione e di governo nei confronti della collettività.
            Invero  il nuovo testo porta alle estreme conseguenze la caratterizzazione fortemente pluralistica e autonomistica già propria della nostra Costituzione e chiarissima nei principi della sua prima parte (part., art. 5) non sempre tuttavia coerentemente svolti.
Certamente ha un forte rilevo nel disegno complessivo del sistema, l’affermazione che la Repubblica sia “costituita dai comuni, dalle provincie, dalle città metropolitane, dalle regioni e dallo Stato” con pari dignità politico costituzionale di tutti questi enti. Ma ha ancora piu’ peso l’affermazione che tutti gli enti del governo territoriale, dalla regione alla provincia (o alla città metropolitana) al comune “sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni secondi i principi fissati dalla Costituzione” (art. 114). Insomma la pari dignità politico costituzionale si traduce qui in una parità di regime giuridico di tutti gli enti del governo territoriale, tutti definiti nel loro contesto ordinamentale, tanto sul versante organizzativo che su quello funzionale, dai principi della Costituzione (cio’ che nel precedente testo poteva affermarsi solo per le regioni).
            E ancora, ha un forte peso in termini di capacità di governo autonoma degli enti territoriali l’attribuzione ad essi di una potestà regolamentare assai ampia, che potrebbe configurasi come capacità riservata, in ordine “alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite” (art. 117, 6° co.).
Mentre sul versante dell’amministrazione attiva, il testo conferma quanto già stabilito nella legislazione ordinaria circa la titolarità da parte di tutti gli enti locali sia di funzioni amministrative proprie che di funzioni conferite con leggi statali o regionali (art. 118). La previsione in Costituzione di funzioni amministrative proprie, significa vincolo alla legislazione statale e regionale nel riconoscerne la presenza nell’ambito delle proprie leggi a pena di illegittimità costituzionale delle stesse. Ovviamente l’identificazione delle funzioni proprie, al di là di quanto si può ricavare dalla legislazione più recente, è compito dell’interprete e sarà oggetto di giurisprudenza costituzionale.  Mentre la distribuzione sul territorio delle funzioni  amministrative, dovrà comunque tener conto della disposizione del 1 ° co. dell’art. 118 che privilegia, come è noto, la dislocazione delle funzioni a livello di comuni salva l’esigenza di assicurane l’esercizio unitario. Principio questo che coinvolge anche le provincie, nel senso che l’attribuzione di funzioni amministrative alle provincie dovrà essa stessa trovare giustificazione nella esigenza di assicurarne l’esercizio unitario nell’ambito del territorio provinciale; mentre l’attribuzione delle funzioni alle regioni ad esempio dovrà trovare giustificazione nell’esigenza di assicurarne l’esercizio unitario nell’ambito del territorio provinciale; mentre l’attribuzione delle funzioni alle regioni ad esempio, dovrà trovare giustificazione nell’esigenza di assicurarne l’esercizio unitario nell’ambito del territorio regionale; e così via.
Tale criterio tuttavia, fa salve le funzioni proprie che restano attribuite ad ogni livello di governo territoriale. Insomma il futuro assetto dell’amministrazione dipenderà dall’integrazione del principio di sussidiarietà in senso stretto che privilegia il livello di governo comunale (tuttavia equilibrato ai principi di differenziazione e di adeguatezza), e il principio della titolarità di funzioni proprie che garantisce ad ogni ente di governo territoriale un proprio e tipico ambito funzionale, identificativo del suo stesso essere.
            Sul versante finanziario il nuovo testo attribuisce a tutti gli enti del governo territoriale, anche qui equiparando regioni, provincie, città metropolitane, comuni, risorse autonome, tributi ed entrate proprie, compartecipazioni al gettito di tributi erariali riferibile al loro territorio (c.d. territorialità dell’imposta); e stabilisce il principio che l’esercizio delle funzioni pubbliche di loro competenza, da parte degli enti del governo territoriale deve avvenire con integrale copertura mediante queste risorse (alle quali tuttavia si aggiungono quelle derivanti dal fondo perequativo per i territori meno avvantaggiati, “con minore capacità fiscale per abitante”). In prospettiva, vengono soppressi i trasferimenti erariali, e direi anche quelli regionali, certamente quelli con vincolo di destinazione.
            Una finanza speciale e differenziata è prevista in favore delle aree depresse (anche se questa dizione non compare) comunque laddove è necessaria una particolare azione di promozione dello sviluppo economico, della coesione e solidarietà sociale, di rimozione di squilibri sociali, e così via. Ma una finanza speciale è prevista anche laddove occorra provvedere da parte di determinati enti, “a scopi diversi del normale esercizio delle loro funzioni” (si pensi per tutti, al caso di Roma capitale). In questi casi lo Stato puo’ destinare risorse aggiuntive ed effettuare interventi speciali (da intendere, senza il divieto del vincolo di destinazione).
            Questi a larghi tratti, i punti piu’ significativi del nuovo testo che riguardano il nuovo assetto del governo locale. Restano aperti una serie di problemi che mi limito qui di seguito ad indicare e che dovranno essere risolti nell’esperienza dei prossimi mesi.
            Sicuramente resta da definire il problema della spettanza della potestà legislativa in materia di ordinamento degli enti locali. Sul punto, come si sa, nel precedente ordinamento delle regioni ordinarie (a differenza delle regioni speciali) era esclusa ogni competenza legislativa in materia di ordinamento degli enti locali ritenuta di competenza esclusiva dello Stato. Nel nuovo contesto, la situazione si è modificata non solo in virtu’ del diverso assetto del riparto delle competenze legislative tra Stato e regioni, che,  ribaltando il vecchio principio, attribuisce alle regioni e non allo Stato, la competenza legislativa generale e residuale; ma anche perché l’art. 117 nell’elencare le materie di competenza esclusiva dello Stato, prevede tra esse “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di comuni, provincie e città metropolitane” (art. 117, 2° co. lett. p). Non riserva cioè allo Stato senz’altro l’ordinamento degli enti locali (come viceversa viene previsto per la città di Roma: art. 114, ult. co.) ma le componenti di tale ordinamento indicate espressamente dalla norma. Cio’ che potrebbe far ritenere che in ordine alle altre componenti dell’ordinamento locale, escluse quelle menzionate (ad es. l’assetto dei controlli, l’assetto dell’organizzazione interna esclusi gli organi di governo, la disciplina del personale e della contabilità, etc.), sussista competenza legislativa regionale in virtu’ della clausola generale di cui all’art. 117, 4° co, che attribuisce alle regioni “la potestà legislativa in riferimento ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”. Né tra le materie di legislazione concorrente (art. 117, 3° co.) ve n’è qualcuna che consenta di attribuire,  nell’ordinamento degli enti locali, alla potestà legislativa dello Stato, almeno la determinazione dei principi fondamentali (salva, pur con qualche incertezza, la materia finanziaria e contabile).
            Sulla questione sicuramente incide l’attribuzione della potestà regolamentare agli enti locali in materia di organizzazione e di esercizio delle funzioni, cui si è già accennato (art. 117, 6° co.). Si puo’ ritenere infatti che la collocazione nel testo costituzionale di questa attribuzione, già peraltro contenuta, come si è detto, nella legislazione ordinaria, ha proprio il valore di una riserva di potestà normativa agli enti locali in questa materia. Sicuramente tale attribuzione ha come effetto quello di escludere queste materie dalla potestà regolamentare della regione (cui in principio la potestà regolamentare è conferita dallo stesso art. 117, 6° co.). Dubbio invece resta se essa possa produrre l’ulteriore effetto di escludere in dette materie anche la potestà legislativa regionale. Essa comunque ammesso che sussista, deve contenersi in limiti ristrettissimi, ai sommi principi si direbbe; chè altrimenti l’attribuzione di potestà regolamentare ai comuni e alle provincie stabilita dalla Costituzione, non avrebbe un senso compiuto.
            Piu’ specificamente resta aperto il problema dei controlli. Sul punto credo si debba affermare che in virtu’ dell’abrogazione dell’art.130 Cost. (art. 9 l. cost. n. 3/2001), i controlli preventivi di legittimità sugli atti dei comuni e delle provincie sono stati soppressi. Cioè si deve ritenere che l’abrogazione della norma costituzionale abbia prodotto un effetto abrogativo della legislazione statale e regionale attuativa della prima. Data la stretta connessione tra le due normative.
            Ma questo pero’ non significa che il sistema dei controlli per gli enti locali sia cessato in ogni suo aspetto. Chè è vero il contrario: il sistema dei controlli è tutto da costruire sulla base dei nuovi principi di un’amministrazione efficace ed efficiente che deve essere controllata nei risultati della sua azione, sulla base del d. l.vo n. 286/99.
La materia, ancora in larga misura da costruire nei suoi contenuti sulla base di detti principi, si complica adesso per quanto riguarda gli enti locali, per l’incertezza circa l’attribuzione della competenza normativa. Credo che anche sulla base dei principi fortemente autonomistici per tutti gli enti del governo territoriale, cui è ispirato il nuovo testo, i controlli di gestione debbano essere previsti da ciascun ente con proprio atto normativo (ovviamente per quanto riguarda i piu’ piccoli comuni, questa materia deve essere gestita in forma associata). Resta fermo naturalmente che gli enti tra loro possano coordinarsi in sistema al fine di darsi in forme concordate controlli di gestione unitari o almeno coordinati. E questo credo possa avvenire anche nell’ambito di ciascun sistema regionale. Appare viceversa da escludere che una competenza di tal fatta, di carattere generale e imperativo possa spettare alla regione nell’ambito della sua potestà legislativa generale. Questa infatti si estende alle materie di competenza regionale, alle funzioni esercitate dagli enti in queste materie, salva la disciplina delle modalità di svolgimento delle funzioni stesse, riservata ai regolamenti locali; ma non investe il funzionamento degli enti in quanto tale.
            Il problema comunque resta aperto e dovrà essere oggetto di esame nei prossimi mesi.    
            Le “funzioni fondamentali” degli enti locali sono determinate, si è detto, con legge dello Stato. Ma quali sono le funzioni “fondamentali”? E sono qualcosa di diverso rispetto alle funzioni “proprie”  previste dall’art. 118?
Sul punto si aprirà una delicata partita politica tra centro e periferia nonché tra regioni ed enti locali nei prossimi mesi. Allo stato si puo’ dire: funzioni fondamentali sono quelle identificative dell’ente locale come ente di governo territoriale. La loro determinazione dipende dall’evolversi dell’esperienza e percio’ non puo’ che essere frutto di ponderate scelte di politica legislativa. Solo a titolo di esempio, posso dire che una funzione anni fa neppure concepibile in capo alla provincia, quale il piano territoriale di coordinamento, oggi è da ritenere una delle funzioni fondamentali della provincia ai sensi dell’art. 117, perché identificativa dell’ente secondo quanto sopra si è detto quale ente di governo territoriale.
Funzioni fondamentali degli enti locali possono afferire sia a materie di competenza legislativa statale sia a materie di competenza legislativa regionale, esclusiva o concorrente. In ogni caso, esse devono essere identificate dalla legge dello Stato e questa identificazione costituisce sicuramente un vincolo forte alla legislazione regionale nelle singole materie. Si pensi ad esempio alla legislazione urbanistica  quale in ipotesi, dovrà comunque riservare la pianificazione territoriale di coordinamento all’ente provincia o il piano regolatore generale all’ente comune, ove queste funzioni saranno (come credo necessario) identificate come funzioni fondamentali rispettivamente della provincia o del comune.
            E’ da ritenere che la nozione di funzioni fondamentali non coincida con quella di funzioni proprie, perché possono essere considerate fondamentali, in quanto identificative dell’ente, anche funzioni in ipotesi ascrivibili alla sfera di competenza di altro ente, dello Stato o della regione. Si pensi soltanto alle attribuzioni del comune (e del sindaco in particolare quale ufficiale del Governo), che sono attribuzioni in cui il comune opera come organo dello Stato (e quindi, non sono funzioni “proprie”) ma certamente sono identificative del comune stesso quale ente di governo territoriale. E’ immaginabile un comune senza anagrafe, senza polizia, senza statistica, etc.?
            Sul versante finanziario, i principi sopra ricordati lasciano tuttavia sussistente una notevole differenza di regime tra regioni da una parte ed enti locali dall’altra. Cio’ per una ragione molto semplice: che in materia di imposte vige la riserva di legge posta dall’art. 23 Cost. e percio’ le regioni con legge possono stabilire tributi propri sia pure sulla base di principi di coordinamento generale della finanza pubblica e del sistema tributario; mentre gli enti locali possono limitari a intervenire sul sistema tributario nei limiti stabiliti dalle leggi. Ma l’autonomia finanziaria, intesa nel modo che si è detto, come piena capacità di destinazione delle proprie entrate, e percio’ piena responsabilità di entrata e di spesa di fronte alla collettività amministrata, accomuna gli enti del governo territoriale.
            La prima attuazione del nuovo ordinamento sicuramente dà luogo a molti problemi applicativi, e richiede da parte di tutti gli attori politici e istituzionali coinvolti massima attenzione, e la piu’ proficua collaborazione.
            A tal fine, mi pare molto opportuna la istituzione di una “cabina di regia” partecipata dai rappresentanti di regioni, province e comuni, in collaborazione con il Governo nazionale: come luogo di concertazione e di raccordo circa le scelte da effettuare da parte dei diversi soggetti (ovviamente senza prendere il luogo ad essi assegnato dalla Costituzione).
            Ma lo strumento politico previsto dalla Costituzione per l’attuazione legislativa (mediante leggi dello Stato) del titolo V, è la Commissione bicamerale di cui all’art. 11 della l. cost. n. 3/2001, alla quale partecipano rappresentati delle regioni e degli enti locali.
            Essa deve essere rapidamente costituita.
            In particolare si deve ricordare che le leggi contenenti principi fondamentali delle materie cui all’art. 117, 3° co., nonché quelle contenenti il nuovo assetto finanziario del governo territoriale ai sensi dell’art. 119, dovranno essere vagliate dalla Commissione prima dell’approvazione da parte delle Assemblee parlamentari; le quali solo con votazione a maggioranza assoluta potranno distaccarsi dai pareri espressi su di esse dalla Commissione.
            E si deve sottolineare, anche a fronte di proposte del Governo che circolano in questi giorni, circa leggi delega, che la norma costituzionale attribuisce alla esclusiva competenza parlamentare l’approvazione di dette leggi, che perciò non potranno essere sostituite da decreti legislativi.
            Una prima legge generale attuativa del titolo V, potrà bensì essere emanata, ma nello stretto ambito della competenza (non piu’ generale) che la Costituzione riserva alla legge dello Stato, e con il rispetto delle forme e dei procedimenti normativi previsti.