
I parcheggi dei supermercati e centri commerciali sono aree private aperte al pubblico ed aree pubbliche concesse in uso all’esercizio commerciale (standard urbanistico dm 1944/1968). L’art. 38 comma 10 del Codice della Strada regolamenta “il campo di applicazione obbligatorio della segnaletica stradale anche nelle strade di uso pubblico e tutte le strade di proprietà privata aperte all’uso pubblico”.
L’ area di parcheggio pubblico (comunale), pur trattandosi aree demaniali, è fruibile come disposto in concessione (convenzione urbanistica o accordo) con i relativi diritti che su di essa vanta il gestore del supermercato.
Nel caso di area privata, aperta al pubblico, l’eventuale utilizzo da terzi per scopi diversi rispetto a quelli a cui è destinata (ad esempio la sosta durante la notte) potrebbe configurare un’invasione di terreni altrui (Invasione di terreni o edifici art. 633 c.p.).
Tuttavia, l’accesso al parcheggio deve essere regolamentato con un cartello che può vietare la sosta a chi non è cliente, limitare la sosta ad un determinato periodo di tempo (per esempio 1 ora) o condizionarla al rilascio di un ticket. Parimenti non vi è alcun obbligo di custodia dei veicoli parcheggiati (contratto di deposito atipico) se l’avviso PARCHEGGIO INCUSTODITO è esposto in modo visibile (Tribunale di Barcellona Pozzo di Grotto ordinanza 09.07.2022 n.267).
Nell’ipotesi in cui l’automezzo dovesse sostare dinanzi a una serranda o al magazzino per il carico e scarico di merci, il titolare del supermercato, impossibilitato a svolgere le normali attività, potrebbe denunciare il responsabile per violenza privata, reato che scatta anche quando qualcuno parcheggia la propria auto in modo da ostruire il passaggio o di impedirle di accedere all’immobile di proprietà.
Inoltre, qualora l’area di parcheggio sia recintata colui che lascia la propria automobile oltre l’orario di chiusura corre il rischio di non poterla recuperare sino alla successiva riapertura.
La giurisprudenza e la dottrina riconducono il parcheggio di un’autovettura all’interno di un supermercato al contratto di locazione temporanea atipico (gratuito o oneroso).
Il Consiglio di Stato (Sezione V, 01.03.2000 n. 1088 ) si è pronunciata sulla funzione dei parcheggi integrativi quale standard urbanistico commerciale (esempio art. 15 DCR31/2012 Liguria) oltre lo standard urbanistico obbligatorio: “Qualora il P.R.G. preveda la realizzazione di parcheggi al servizio di centri commerciali, in aggiunta alle aree di cui all’art. 41-sexies della legge urbanistica, da “adibirsi all’uso della clientela dei centri ad esclusivo servizio quindi degli edifici a destinazione commerciale e direzionale, tali aree sono considerate pertinenze necessarie. Tali aree devono compensare il maggiore fabbisogno di parcheggi dovuto al flusso dei clienti. Le stesse aree non costituiscono dotazione di standard di cui al d.m. 2.4.1968, n. 1444. Non sono, pertanto, qualificabili come opere di urbanizzazione eseguite dal costruttore in luogo del comune per le quali è ammesso lo scomputo dagli oneri”.
La nuova programmazione commerciale ed urbanistica (D.L. 201/2011) presuppone che la realizzazione delle medie e grandi strutture di vendita sia subordinata al possesso di una dotazione minima di aree destinate a parcheggio, la cui superficie complessiva è calcolata in funzione della superficie di vendita. I parametri di parcheggio sono comprensivi delle aree di parcheggio PERTINENZIALI private e delle aree di parcheggio PUBBLICHE. I parcheggi sono realizzati in contiguità, anche funzionale, con la struttura commerciale cui inerisce e particolari forme di gestione possono essere oggetto di convenzione con il Comune. In aggiunta alle prescritte dotazioni di parcheggi per autovetture, gli strumenti urbanistici comunali, possono prescrivere adeguate dotazioni di posto i per motocicli e per biciclette.
Il parametro delle aree a parcheggio garantisce la dotazione “minima” di parcheggi a servizio degli esercizi commerciali e l’incremento di tale dotazione “è rimesso anche alla regolamentazione dei comuni, i quali devono bilanciare l’utilità derivante dall’apertura di nuove attività economiche con gli inconvenienti collegati al maggior traffico veicolare” (cfr. TAR Lombardia, BS, sentenza n. 1468/2006).
L’ assoggettamento dei parcheggi pertinenziali ad uso pubblico rileva con la modalità di costituzione della “dicatio ad patriam” (CdS 5438/2023, CdS sez. VI n. 9333/23) come chiarisce il Tar Roma (Sez.II Ter – Sentenza 13400 del 23/8/2023): “il proprietario dell’esercizio commerciale, anche quando destina a parcheggio un’area più estesa di quella minima richiesta dalla normativa di settore, consente a chiunque di utilizzare i relativi spazi, che di conseguenza sono assoggettati ad una servitù di diritto pubblico.
Contrariamente a quanto ha dedotto la società ricorrente, è irrilevante la sua volontà (e anche quella del proprietario dell’area in questione) di evitare la continuativa utilizzazione del parcheggio, impedendo l’utilizzo dell’area nelle ore di chiusura dell’esercizio commerciale”.
La fattispecie del Tar romano scaturisce da un ricorso del gestore dell’esercizio commerciale che impugna la determina del verbale di sopralluogo (Polizia Municipale) che recita “…i carrelli sono inseriti all’interno di una struttura metallica adeguata a creare un recinto di contenimento degli stessi. Aperta da un lato al fine di mettere a disposizione della clientela l’uso dei carrelli la struttura è inserita in un’area prospiciente la carreggiata, tale da essere un proseguimento della stessa dove sono inseriti i parcheggi del negozio, segnalati da un apposito cartello. È bene precisare che l’area in questione non risulta essere chiusa totalmente, tale da poter evitare l’uso della struttura, sebbene si presuma che i carrelli vengono portati all’interno dell’attività commerciale in orario di chiusura. Una delimitazione dell’area ma solo in modo visivo è effettuata con parapedonali nel corridoio antistante l’attività, la struttura a pensilina è comunque esterna”. La determina ordina la sospensione dell’attività commerciale della media struttura di vendita per tre giorni, il ripristino dello stato dei luoghi con la rimozione immediata dell’occupazione abusiva (mq. 3,41) con relative sanzioni.
L’ esercente impugna il provvedimento con tre motivi di censura:
1) il ricorrente detiene a titolo di affitto le aree destinate a parcheggio, che risultano di proprietà privata e non risultano transitabili nelle ore in cui l’esercizio commerciale è chiuso. Inoltre, la presenza dei carrelli mobili, dotati di ruote, impedirebbe di ravvisare una vera e propria occupazione di suolo.
Nel dedurre che gli spazi oggetto delle contestazioni sono destinati alla sosta di carrelli dotati di ruote e necessari per gli acquisti, la società lamenta la violazione del regolamento comunale sulle concessioni di suolo pubblico (COSAP);
2) l’Amministrazione avrebbe erroneamente ravvisato una destinazione dell’area ad uso pubblico, che non sarebbe configurabile neanche sulla base di una dicatio ad patriam. Nella specie, non vi sarebbe mai stato il necessario “animus dicandi ad patriam”, ossia l’intenzione di asservire il bene all’uso pubblico, come si desume dal fatto che negli orari di chiusura dell’esercizio commerciale non si può accedere all’area, per di più munita di una sbarra di delimitazione della proprietà privata;
3) l’esercente ha dedotto la sussistenza di vari profili di eccesso di potere per travisamento dei fatti, assenza di istruttoria, carenza di motivazione e violazione del principio di legalità, poiché non sussisterebbero i presupposti per l’emanazione dell’atto impugnato.
Le censure formulate vengono respinte perché infondate.
In punto di fatto, rileva il Collegio che sullo spazio in questione, di 3,41 mq, è stata collocata una pensilina ancorata al suolo, sotto la quale sono posizionati i carrelli utilizzabili dai clienti dell’esercizio commerciale. Evidentemente, poiché per ragioni di sicurezza i carrelli non possono essere liberamente collocati nell’area complessivamente destinata al parcheggio e al conseguente transito dei veicoli, la società ha inteso individuare un’area determinata ove i clienti possano agevolmente munirsi di essi. Ciò posto, il Collegio ritiene che effettivamente l’area in questione si debba intendere destinata a parcheggio, al servizio della collettività, sulla base di una dicatio ad patriam.
La dicatio ad patriam può conseguire o ad un atto volontario del proprietario, oppure ad una “scelta imposta”. La “scelta libera” si ha quando il proprietario, per munificenza o per altre ragioni, consente alla collettività locale di utilizzare un suo bene, sia pure in orari o in giorni limitati: si pensi al proprietario di un bene monumentale, che consenta alla collettività locale di accedere periodicamente alla propria chiesa, per le attività di culto.
La “scelta imposta” si ha tipicamente nel diritto urbanistico, allorquando – per il soddisfacimento degli standard – il titolare di un titolo edilizio può costruire un proprio bene, purché realizzi spazi destinati al transito o al parcheggio.
Tali spazi, anche se non diventano di proprietà pubblica, di regola hanno natura pertinenziale sotto il profilo privatistico e comunque non possono avere una destinazione diversa da quella prevista dal titolo che ha consentito la realizzazione del bene principale. Pertanto, quando il titolo edilizio consente la realizzazione di una struttura di vendita e prevede la destinazione di un’area a parcheggio, tale area per intero deve mantenere siffatta destinazione: il numero di posti auto derivanti dal calcolo degli standard non può essere ridotto, in conseguenza di attività che in linea di principio sarebbero libere estrinsecazioni delle facoltà dominicali, ma che in concreto riducono gli spazi destinati a parcheggio. A volte, alla ‘scelta imposta’ di destinare spazi a parcheggio si può aggiungere anche una ‘scelta libera, che pur sempre necessita del relativo titolo edilizio, dal momento che l’alterazione delle aree per creare un parcheggio richiede sempre il titolo edilizio.
Il proprietario dell’esercizio commerciale, anche quando destina a parcheggio un’area più estesa di quella minima richiesta dalla normativa di settore, consente a chiunque di utilizzare i relativi spazi, che di conseguenza sono assoggettati ad una servitù di diritto pubblico. Contrariamente a quanto ha dedotto la società, è irrilevante la sua volontà (e anche quella del proprietario dell’area in questione) di evitare la continuativa utilizzazione del parcheggio, impedendo l’utilizzo dell’area nelle ore di chiusura dell’esercizio commerciale. Mediante la dicatio ad patriam si consente a chiunque di utilizzare un luogo anche per limitate ore del giorno, del mese o dell’anno e non occorre che vi sia la continuatività dell’utilizzo.
La società ricorre in Consiglio di Stato (sentenza V Sez. del 26.04.2024 n. 3775) che accogli il ricorso, sospendendo l’ esecutività della sentenza, sostenendo che il regolamento comunale Cosap, sulla cui base è stato emesso l’ atto impugnato, prevede la concessione di suolo pubblico delle aree soggette a servitù di pubblico passaggio costituite nei modi e nei termini di legge e che la costituzione di diritto di servitù di uso pubblico (e non di semplice uso comune) presuppone di regola un atto pubblico o privato idoneo allo scopo o l’ intervento dell’ usucapione ventennale (C.S. V 27/02/2019 n.1369).
Recentemente il T.A.R. Veneto (sez. II, 02.04.2024 n.619) si è pronunciato in merito a ricorso del titolare di supermercato che chiedeva l’annullamento parziale del provvedimento comunale avente ad oggetto la sospensione dell’attività edilizia (S.C.I.A.) per inibire alla ricorrente l’installazione di sbarre automatiche agli accessi del parcheggio scoperto e alla regolamentazione degli accessi e chiusura del parcheggio in funzione degli orari del negozio, trattandosi di parcheggio ad uso pubblico. Il Comune, ritenendo trattarsi di parcheggio pubblico a standard del P.R.G. vigente comunicava il divieto alla prosecuzione dell’attività. Avverso tale provvedimento inibitorio insorgeva la ricorrente che presentava una proposta di convenzionamento mettendo a disposizione dell’uso pubblico 19 parcheggi ubicati a lato del supermercato. Il Comune comunicava l’impossibilità di condividere la proposta di convenzionamento in quanto non coerente con il precedente progetto autorizzato che prevedeva 151 stalli a parcheggio di uso pubblico a fronte dei 19 previsti nella proposta di convenzionamento. Avverso tale provvedimento negativo insorgeva nuovamente la ricorrente.
La ricorrente deduce la natura privata del parcheggio antistante il supermercato e l’inesistenza di qualsivoglia servitù ad uso pubblico. Il Comune reputa, invece, trattarsi di parcheggio ad uso pubblico e richiama l’istituto della dicatio ad patriam (diritto di uso pubblico e non di servitù reale).
Il Collegio giudicante ritiene che l’area in questione debba intendersi destinata a parcheggio della collettività sulla base di una dicatio ad patriam.
Tali spazi, anche se non diventano di proprietà pubblica, di regola hanno natura pertinenziale sotto il profilo privatistico e comunque non possono avere una destinazione diversa da quella prevista dal titolo che ha consentito la realizzazione del bene principale. Pertanto, quando il titolo edilizio consente la realizzazione di una struttura di vendita e prevede la destinazione di un’area a parcheggio, tale area per intero deve mantenere siffatta destinazione: il numero (l’area) di posti auto derivanti dal calcolo degli standard non può essere ridotto, in conseguenza di attività che in linea di principio sarebbero libere facoltà dominicali, ma che in concreto riducono gli spazi destinati a parcheggio.
Tali considerazioni riguardano i casi in cui sia stato realizzato un esercizio commerciale, dotato di parcheggi in applicazione delle regole sugli standard, anche a seguito di ampliamento dimensionale e merceologico della struttura quando le condizioni relative al parcheggio e agli accessi e uscite veicolari dovessero essere oggetto di apposita convenzione tra Amministrazione e società richiedente, pena la decadenza del nulla osta.
Gli spazi a parcheggio che per legge debbono essere destinati a soddisfare gli standard, di cui al D.M. n. 1444, debbono ritenersi asserviti all’uso generalizzato da parte della collettività indistinta degli utenti e non all’uso limitato dei soli utenti dell’unità immobiliare in relazione alla quale è sorto l’obbligo della dotazione dello standard in questione (cfr., Cons.Stato, sez. VI, 12 dicembre 2006, n. 73402). Ciò posto, la giurisprudenza ha, altresì, chiarito che l’atto volontario di destinazione all’uso pubblico, necessario per la costituzione della servitù per dicatio ad patriam, ben può collocarsi nell’ambito degli accordi raggiunti ed impegni assunti in occasione di convenzioni edilizie, con il risultato di dare vita a diritti di uso pubblico tutte quelle volte che agli impegni assunti, come nel caso di specie, o alle dichiarazioni fatte sia seguita l’effettiva destinazione del bene all’uso della collettività, ancorché poi non si siano compiutamene perfezionati gli atti di trasferimento o di costituzione di tali diritti o le formalità di trascrizione necessarie ai fini dell’opponibilità ai terzi (cfr. T.A.R. Friuli Venezia Giulia, 8 aprile 2011, n. 184).
La dicatio ad patriam sussiste quando vi è stata una convenzione di lottizzazione o analogo atto d’obbligo, relativo alla realizzazione dei c.d. standards, seguita dalla trasformazione del suolo mediante la realizzazione dell’opera e dall’effettiva utilizzazione di quest’ultima in conformità al progetto, ancorché sia rimasta inadempiuta l’obbligazione di trasferire all’ente pubblico la proprietà del sedime (C.d.S., sez. V, 5 dicembre 2012, n. 6242; Tar Umbria, sez. I, 16 agosto 2010, n.425).
Qualora il titolo edilizio o l’autorizzazione all’ esercizio dell’attività commerciale non sia accompagnata o preceduta dalla sottoscrizione di una convenzione che disciplinasse l’utilizzo pubblico del parcheggio in accordo con il Comune sono inibiti limitazioni di accesso al parcheggio di pertinenza del supermercato.
L’ applicazione del codice della strada all’ area funzionale all’ esercizio dell’attività commerciale è nota con la sentenza della Cassazione civile sez. III del 23 luglio 2009 n. 17279. Secondo i giudici di palazzo Spada i criteri decisivi per individuare l’ambito di applicazione del Codice della strada non consistono necessariamente nella natura privata o pubblica dei diritti di proprietà sull’area, né dal fatto che essa è collocata in una od altra posizione rispetto ad uno stabile di proprietà privata; bensì consistono invece nell’apertura o meno dell’area stessa all’uso pubblico, in termini tali per cui risulti ordinariamente adibita al traffico veicolare (Cass. civ. Sez. 3, 26 luglio 1997 n. 7015; Cass. civ. Sez. 3, 27.10.2005 n. 20911 che ha ritenuto applicabile l’art. 2054 c.c. al terreno di proprietà di un cantiere al quale avevano accesso sia coloro che vi lavoravano che i clienti dell’impresa; Cass. civ. Sez. 3 del 06.06.2006 n.13254 che ha escluso l’applicazione dell’art. 2054 c.c. con riferimento al parcheggio privato interno ad un condominio al quale avevano accesso solo i condomini). Vale a dire, ogniqualvolta l’area, ancorché di proprietà privata, sia aperta ad un numero indeterminato di persone, alle quali sia data la possibilità di accedervi, pur se non titolari di diritti sulla stessa, e ciò comporti la normale circolazione di veicoli al suo interno, sono da ritenere applicabili le norme del codice della strada. La circostanza che accedano normalmente in luogo solo i soggetti appartenenti ad una o più categorie specifiche, o quelli che perseguano peculiari finalità, come i clienti di un supermercato, non consente di escludere che vi sia l’uso pubblico, volta che chiunque possa entrare a far parte di quella categoria o perseguire quelle finalità.
Alcune società specializzate nella gestione delle aree di sosta pubbliche e private propongono ai titolari dei supermercati contratti per la gestione dell’area di parcheggio pertinenziale mediante il sistema di riconoscimento delle targhe ed indennizzo risarcitorio oltre la prima ora di sosta.
Il modello proposto al fruitore del servizio (cliente supermercato) è strutturato con la proposta contrattuale di offerta al pubblico (1336 c.c.) con contratto di locazione gratuita di stallo per la prima ora e successivo divieto di sosta sanzionato con penale.
Il contratto per l’affidamento del servizio è normalmente così strutturato:
– il contratto di parcheggio (assimilabile alla locazione atipica) con il cliente del supermercato è stipulato dall’ affidatario dell’area di sosta di proprietà privata seppur soggetta ad uso pubblico regolamentato sulla base di una “dicatio ad patriam”.
L’ uso pubblico come sopra illustrato normalmente non vieta limitazioni di accesso all’ area se adeguatamente regolamentata e né vieta l’affidamento (appalto) del controllo degli accessi attraverso regolamentazione predisposta dal soggetto autorizzato all’ esercizio dell’attività commerciale che dispone giuridicamente dell’utilizzo dell’area di parcheggio (esempio DCR31/2012 come richiamato dalla legge Regione ligure n. 1/2007).
Tuttavia, con il contratto di gestione dello stallo e relativo regolamento promanato dall’ affidatario (gestore) sostanzialmente l’esercente si spoglia giuridicamente della disponibilità dell’area a parcheggio (stallo) non potendosi, così, configurarsi con il cliente il contratto accessorio di locazione atipica di parcheggio come illustrato. Ciò potrebbe comportare che gli enti preposti al controllo dell’attività commerciale contestino la violazione dei requisiti urbanistici commerciali previsti dalla normativa per il rilascio dell’autorizzazione commerciale (DCR 31/2012);
– il gestore del supermercato non dovrebbe garantire contrattualmente la disponibilità ad uso privato dell’area a parcheggio non assoggettata ad alcun vincolo di natura pubblicistica per i motivi suddetti, rischiando diversamente di esporsi ad azioni di risarcimento danni da parte del gestore in caso di contestazioni da parte del Comune;
– rimane da chiarire giuridicamente il nodo gordiano dell’applicazione della penale in area soggetta al codice della strada. Ritengo certamente fattibile a seguito di contestazioni sanzionatoria a norma del c.d.s. alla violazione del regolamento di parcheggio condiviso con il Comune in convenzione edilizia o con successivo atto di regolamentazione
Essendo il contratto di parcheggio, non più accessorio al contratto di vendita al dettaglio, stipulato da un autonomo professionista (imprenditore affidatario) le condizioni generali di contratto sono soggetto anche al controllo contenutistico previsto dalle norme degli art. 33 ss. Codice consumo (Dlgs 206/2005) ad eccezione di quando il contratto è conchiuso con altro professionista.
Contenuto che sostanzialmente si concretizza nella breve limitazione d’ uso gratuita (1 ora) a fronte di una cospicua penale imposta al cliente del supermercato avente la funzione di corrispettivo del servizio a copertura dei costi di gestione non prevedendo sostanzialmente alcun onere economico per il committente a copertura dei costi di gestione della barriera di accesso. Così strutturato il contratto, manlevando il committente dalla gestione amministrativa in toto e fornendo la barriera degli accessi gratuitamente, è lapalissiano che non sia un contratto di appalto di servizi per la gestione delle barriere di accesso secondo disposizioni impartite dal committente ma bensì di un diverso negozio giuridico assimilabile all’ affitto dello stallo di parcheggio. Da qui lo spoglio della disponibilità del bene, essendo affittato ad altro professionista, da parte del committente gestore del supermercato di un’area che obbligatoriamente deve rimanere nella disponibilità giuridica dell’esercitare l’attività.
Al di là del lessico contrattuale utilizzato già l’Agenzia delle Entrate si è espressa in merito riconoscendo il ricavato quale corrispettivo e non l’indennizzo ristoratore di un danno da inadempimento contrattuale.
L’ Agenzia delle entrate, conformemente alla decisione della Corte di giustizia Ue, chiarisce che la sanzione fissa applicata e riscossa dal gestore di un parcheggio per la violazione delle condizioni generali del contratto stipulato tra la società e gli utenti dell’area sosta fa parte dell’attività di controllo inclusa nella prestazione di servizi e, quindi, è soggetta a Iva (risposta interpello n. 320 del 9 maggio 2023). La società istante asserisce di gestire alcuni parcheggi, in disponibilità di altri, tramite il sistema di scansione delle targhe. In particolare, stipula un contratto con il proprietario (o chi per lui) dell’area aperta al pubblico, ricevendo così l’incarico di controllare e gestire lo spazio. Stipula, inoltre, un contratto con i singoli utenti del parcheggio che ottengono la possibilità di sostare gratuitamente l’auto per un determinato periodo di tempo. Il superamento di tale limite comporta una violazione del contratto e l’applicazione di una sanzione a carico dall’automobilista, riscossa dall’istante. La società chiede se alla suddetta sanzione vada applicata l’Iva oppure no, in quest’ultimo caso, in quanto configurabile, ai sensi dell’articolo 15 del D.P.R. 633/1972, come “risarcimento” e non come prestazione di servizi. Secondo la società, la penalità pagata dai suoi clienti per l’extratime è di natura risarcitoria e non una “tariffa maggiorata” per la prestazione di servizi resa, come invece ha concluso la Corte di giustizia Ue, in una vicenda simile, nella sentenza 20 gennaio 2022, Causa C90/20 (Apcoa Parking).
L’Agenzia delle Entrate ripercorrendo i termini del servizio reso dall’istante agli utenti evidenziando la mancanza di una normativa legale che fissi l’importo di una sanzione contrattuale adeguata per lo sforamento del periodo di parcheggio. L’ammontare della penalità è riportato nelle condizioni generali del contratto disponibili sul sito e sui cartelli ben visibili all’entrata del parcheggio. L’Agenzia ritiene che il rapporto tra istante e fruitori dell’area presenti profili di similitudine con la situazione valutata dalla Corte di giustizia Ue nella sentenza richiami in cui si afferma che “le spese di controllo (…) devono essere considerate il corrispettivo di una prestazione di servizi effettuata a titolo oneroso (…) e assoggettata in quanto tale all’IVA”. In entrambi i casi è previsto un tempo limitato di parcheggio gratuito oltre il quale è dovuto il pagamento di una somma aggiuntiva fissa (“di controllo”), non proporzionale all’ulteriore periodo di occupazione del posto di sosta.
In sostanza la Corte di giustizia riscontra nell’operazione un’unica prestazione di servizi a titolo oneroso, che include anche la riscossione delle sanzioni dovute in caso di parcheggio irregolare visto che “la necessità di un controllo di sosta irregolare e, di conseguenza, l’imposizione di siffatte spese di controllo non possono esistere se il servizio di messa a disposizione di uno stallo di parcheggio non è stato previamente fornito”.
L’ art. 33 (D.Lgs. n. 206/2005 cod. consumo) considera clausole vessatorie (comma 2 lett. f) l’imporre al consumatore, in caso di inadempimento o di ritardo nell’adempimento, il pagamento di una somma di denaro a titolo di risarcimento, clausola penale o altro titolo equivalente d’importo manifestamente eccessivo (ed alla lett. l) prevedendo l’estensione dell’adesione del consumatore a clausole che non ha avuto la possibilità di conoscere prima della conclusione del contratto. Il medesimo articolato afferma che “nel contratto concluso tra il consumatore e il professionista si considerano vessatorie le clausole che, malgrado la buona fede, determinino a carico del consumatore un significativo squilibrio dei diritti e degli obblighi derivanti dal contratto”, confermando che il carattere vessatorio attiene al regolamento contrattuale (“squilibrio di diritti e obblighi”). Detta vessatorietà risulterebbe circoscritta (art.33 c.1) al solo equilibrio normativo e non anche a quello economico. Anche l’art. 34, comma 2 del codice, in tema di accertamento della vessatorietà delle clausole sembra convalidare la tesi della irrilevanza, ai fini del relativo giudizio, della congruità dello scambio a patto, però, che non vi sia alcun deficit conoscitivo esseno gli elementi individuati in modo chiaro e comprensibile.
In caso di dubbio sul senso di una clausola, prevale l’interpretazione più favorevole al consumatore (art.35).
L’ art. 37-bis riconosce la competenza amministrativa dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato responsabile a sanzionare le clausole abusive nei contratti stipulati con i consumatori. Le imprese interessate hanno facoltà di interpellare preventivamente l’Autorità in merito alla vessatorietà delle clausole che intendono utilizzare nei rapporti commerciali con i consumatori. L’Autorità si pronuncia sull’interpello entro il termine di centoventi giorni dalla richiesta, salvo che le informazioni fornite risultino gravemente inesatte, incomplete o non veritiere. Le clausole non ritenute vessatorie a seguito di interpello non possono essere successivamente valutate dall’Autorità per i medesimi effetti.
Resta in ogni caso ferma la responsabilità dei professionisti nei confronti dei consumatori.
In materia di privacy affronto la tematica introducendo due significative pronunce sul trattamento dei dati attraverso il numero di targa di un automezzo.
Il Tribunale di Roma (sentenza del 17.11.2022 n. 17028) rigetta il ricorso proposto dall’azienda di trasporti locali avverso l’ordinanza ingiunzione del Garante per violazione della normativa in materia di privacy, in ragione della illecita condotta della società nella realizzazione di una piccola parte dei parcometri del Comune (i c.d. parcometri evoluti) con l’inserimento facoltativo della targa del veicolo (in modo da evitare al conducente di dover esporre il tagliando o lo scontrino di pagamento sul cruscotto del veicolo). Difatti, la targa del veicolo costituisce un dato personale soggetto alla normativa in materia di privacy. In particolare, posto che il numero della targa non rileva in sé, ma quale dato idoneo all’identificazione indiretta della persona proprietaria del veicolo, l’enorme mole di dati illecitamente trattati non è sufficiente ad escludere le violazioni contestate; ciò in quanto i dati relativi alle soste memorizzate nel sistema consentono di individuare, ancorché in maniera approssimativa, la posizione di un autoveicolo durante la sosta rendendo possibile, sebbene non sia geo-localizzare puntualmente i veicoli, dedurre informazioni circa la sosta attiva da parte di uno specifico veicolo; l’area di sosta presunta e comportamenti abituali del conducente del veicolo.
Recentemente la Cassazione civile (Sez. I ordinanza 22.02.2024 n.4648) in materia di pubblicazione e comunicazione del numero di targa di un automezzo. “Il Garante ha dichiarato che la diffusione di tali immagini costituisse un trattamento di dati personali non pertinenti e superflui rispetto allo scopo di verificare il mancato rispetto delle norme sula segnaletica stradale, addebitando pertanto al Comune, quale parte ricorrente in questa opposizione, la responsabilità per tale gestione inappropriata dei dati. Successivamente, a cinque anni di distanza dalla contestazione iniziale mossa dal’ Autorità, il Sindaco ha formalmente impugnato la cartella esattoriale associata alla sanzione amministrativa imposta dal Garante innanzi al Tribunale di Padova. Il giudice di primo grado, nel suo esame, ha evidenziato l’indeterminatezza sia nelle motivazioni sia nell’identificazione specifica della violazione imputata dall’Autorità. Ha rilevato che il Garante aveva individuato come unica infrazione alla privacy la pubblicazione del numero di targa di un automezzo non implicato nel procedimento di verifica delle violazioni al Codice della Strada condotto dalla Polizia Locale. Basandosi su questa constatazione, il Tribunale ha argomentato che il mero numero di targa, in assenza di dettagli relativi all’identità del conducente, non potrebbe essere classificato come dato personale sotto la tutela del d.lgs. n.196/2003. Il Tribunale ha considerato non giustificato il provvedimento emesso dall’ Autorità ritenendolo invalido e obbligando il Garante al rimborso delle spese legali. L’Autorità ha quindi impugnato il provvedimento innanzi alla Corte di cassazione. Nel ricorso il Garante ha sollevato obiezioni alla sentenza del Tribunale di Padova, criticando l’assunto su cui si è basata l’accoglimento del ricorso presentato dal Comune. Secondo il Garante, è errata la presunzione secondo la quale la targa di un veicolo, una volta pubblicata online, non costituisce un dato personale. Tale posizione si fonda sulla definizione di “dato personale” fornita dal d.lgs. n. 196 del 2003 (articolo 4, comma 1, lettere b e c), che classificava come dati personali tutte le informazioni riconducibili a una persona fisica identificabile, direttamente o indirettamente, attraverso, altresì, riferimenti come i numeri di identificazione personale. In questo contesto, il Garante sostiene che la targa di un autoveicolo rientra indubbiamente nella categoria dei dati personali, poiché può permettere l’identificazione diretta o indiretta dell’interessato.
La Corte di cassazione accoglieva il ricorso.
La Corte ha chiarito che il numero di targa di un veicolo rappresenta un dato capace di facilitare l’identificazione diretta del proprietario del veicolo stesso: “Fondamentale, ai fini della protezione dei dati personali, è il legame funzionale che permette di associare i dati personali all’individuo specifico, soprattutto quando le informazioni possono astrattamente rientrare nella categoria del trattamento dei dati. L’interpretazione è stata confermata anche in contesti specifici come l’uso di parcometri avanzati che registrano la targa e la posizione del veicolo parcheggiato. Nonostante dal dato “targa” si possa risalire al nominativo dell’intestatario del veicolo – che potrebbe non coincidere con l’utilizzatore effettivo del veicolo o potrebbe essere una persona giuridica, esclusa dalla tutela del GDPR, o un soggetto diverso dall’effettivo proprietario – il numero di targa, in una percentuale significativa dei casi, si configura come un dato personale che permette di individuare l’utilizzatore del parcometro, rendendone possibile anche la profilazione”.
Altra tematica da valutare attentamente è l’installazione dell’impianto di videosorveglianza nell’ area di parcheggio concesso in uso esclusivo al gestore (terzo) che dovrà chiedere autorizzazione regolamentando l’utilizzo delle immagini. L’argomento diviene spinoso per la titolarità del richiedente che deve disporre delle aree ad uso esclusivo nella domanda rivolta all’ Ispettorato Nazionale del Lavoro.
L’ Ispettorato del Lavoro non può rilasciare provvedimento autorizzativo qualora il titolare dei dati acquisiti non coincida con il datore di lavoro istante ma sia un soggetto terzo (art. 4 L.300 del 1970).
In questo coacervo di posizione giuridiche consiglio di allegare al contratto una Valutazione d’impatto della protezione dei dati (DPIA – art. 35 del GDPR) che valuti la conformità al Gdpr mitigando i rischi del trattamento.
Addentrandoci nel merito la tipologia contrattuale dell’ offerta al pubblico (cliente del supermercato) può presentare un cono d’ ombra nelle modalità di somministrazione dell’ informativa all’ utente avendo, normalmente, già conchiuso il contratto di parcheggiato privo degli obblighi informativi e della base giuridica che valuterà, ex post, attraverso il cartello informativo esposto internamente che recita: “Il trattamento è necessario all’esecuzione del rapporto contrattuale e la verifica dell’adempimento degli obblighi contrattuali a carico degli utenti” privandolo di esercitare il diritto di non fornire i dati rinunciando all’esecuzione del rapporto contrattuale. Ne sia d’ esempio l’utilizzo dei parcometri con l’inserimento della targa che avviene dopo aver parcheggiato o tramite applicazione mobile che richiede il consenso al momento della registrazione”.
Diviene essenziale un’informativa di primo livello (sul modello della videosorveglianza) esposta prima dell’accesso dell’area con eventuale corsia, laddove possibile, che permetta di defluire regolarmente qualora non si voglia prestare il consenso (non accedo).
L’ informativa citata dal gestore, rilevata in alcuni supermercati, la ritengo non adeguata laddove asserisce che “Il conferimento dei dati personali è necessario all’esecuzione del rapporto contrattuale, pertanto l’eventuale rifiuto di rispondere, al momento della raccolta delle informazioni, o l’eventuale diniego di trattamento dei dati, comporta per il gestore del servizio l’oggettiva impossibilità di adempiere agli obblighi legali o contrattuali previsti, nonché di gestire correttamente le reciproche relazioni contrattuali e/o commerciali” poiché il dato è già stato raccolto con l’ accesso celere senza che abbia avuto il tempo di leggere l’ informativa non potendo sostare nell’ area di accesso del parcheggio.
L’ informativa deve comunicare chiaramente il “periodo di ripensamento” all’ accettazione contrattuale che normalmente è di quindici minuti per abbandonare il parcheggio regolamentando la celere cancellazione del dato personale.
Inoltre, è evidente che solo qualora venga contestata l’infrazione con l’atto preliminare di accesso al P.R.A. avremmo certezza sul proprietario dell’automezzo che, tuttavia, potrebbe non essere il conducente o passeggero sottoscrittore del contratto.
L’ affidatario del servizio quale titolare del trattamento dati, o responsabile ex art 28 Gdpr qualora gestore della barriera di accesso con riscossione della penale, nei confronti dell’utente in sosta deve fornire obblighi informativi previsti dagli art. 13 Gdpr (raccolta presso interessato che accede al parcheggio) che all’ art. 14 (raccolta presso non interessato).
La differenza tra informativa ai sensi dell’art. 13 e dell’art. 14 riguarda la fonte per o della raccolta dei dati, nella prima ipotesi essendo l’interessato stesso e nella seconda trattandosi di altra fonte (ad esempio, elenchi pubblici Pra, terzi titolari ecc.).
Il contratto qualora proponga un sistema di raccolta dati all’ accesso presso l’interessato identificandolo presuntivamente nel conducente o passeggero presente nell’ autoveicolo in qualità di proprietario dell’automezzo presume semplicemente iuris tantum un richiamo alla responsabilità solidale del Codice della Strada che in luoghi privati diviene applicabile con clausola contrattuale. Una semplice presunzione statistica non regolamentata normativamente con il rischio di trattamento da valutare conformemente ai principi di privacy by design e by default.