
Il Consiglio di Stato si pronuncia nuovamente sull’autonomia dell’autorizzazione paesaggistica rispetto al permesso di costruire
Di Francesca Pedace
Con la sentenza 3446/2022 la Sez. VI del Consiglio di Stato ha ribadito nuovamente come il provvedimento di autorizzazione paesaggistica risulti essere in provvedimento autonomo e indipendente rispetto al permesso di costruire e agli altri titoli abilitativi in campo edilizio.
La vicenda trae origine dal ricorso proposto dal Ministero della Cultura per l’annullamento di una decisione di primo grado del T.A.R. Salerno che aveva accolto la pretesa dei proprietari di un immobile realizzato abusivamente negli anni ’80 nel Comune di Sassano (SA) su un’area sottoposta a vincolo paesaggistico.
In particolare, i proprietari del bene – dopo aver realizzato l’immobile nei pressi di un corso d’acqua senza aver mai ottenuto una previa valutazione di compatibilità paesaggistica da parte della Soprintendenza locale – ne chiedevano il condono nel ’95 e, successivamente, nel 2018, presentavano al Comune un permesso di costruire per il completamento del medesimo con tanto di cambio di destinazione d’uso ad abitazione previa sottoposizione alla soprintendenza di un’istanza di valutazione della compatibilità paesaggistica[1].
La Soprintendenza si esprimeva sul punto nel 2020 dando però parere negativo in quanto il fabbricato, dal punto di vista paesaggistico, non risultava autorizzato all’origine. Seguiva il Comune che rigettava definitivamente l’istanza di ottenimento del permesso di costruire per via della mancata compatibilità paesaggistica dell’immobile.
I proprietari del medesimo, conseguentemente, impugnavano innanzi al T.A.R. il provvedimento di rigetto che accoglieva il ricorso.
Nel motivare la propria sentenza di accoglimento il giudice di primo grado spiegava poi come «il parere contrario della Soprintendenza e il diniego definitivo del Comune (al permesso di costruire), fondandosi (entrambi) sull’assenza del nulla osta paesaggistico a supporto dei precedenti titoli edilizi che assistono il fabbricato, ne avrebbero sostanzialmente disconosciuto gli effetti» così palesando una ricostruzione contestabile secondo cui la mancata autorizzazione della Soprintendenza avrebbe sostanzialmente annullato gli effetti del provvedimento di sanatoria precedente intervenuto nel 1995. Parimenti, il medesimo riteneva che tale esito sarebbe illegittimo in quanto «concretizzante un esercizio implicito di un potere di annullamento dei titoli edilizi»[2].
Trattasi di assunti che non sono stati condivisi dal Consiglio di Stato il quale, a seguito dell’appello proposto dal Ministero della cultura avverso detta sentenza, si è pronunciato in senso contrario al T.A.R. ritenendo che gli effetti dei provvedimenti impugnati si dovessero limitare a negare l’autorizzazione all’esecuzione dei soli lavori di completamento dell’immobile senza incidere sui titoli abilitativi precedenti.
Non a caso, riporta il Consiglio nella propria sentenza che «l’autorizzazione paesaggistica costituisce atto autonomo rispetto al permesso di costruire o agli altri titoli legittimanti l’intervento urbanistico-edilizio» così confermando che i due atti di assenso, quello paesaggistico e quello edilizio, operano su piani diversi, essendo posti a tutela di interessi pubblici solo parzialmente coincidenti.
Chiosa, infine, la Corte disponendo come «il parametro di riferimento per la valutazione dell’aspetto paesaggistico non coincide con quello della disciplina urbanistico edilizia»[3].
Da ciò deriva che il fatto che fossero stati rilasciati dei titoli edilizi pur in assenza dell’autorizzazione paesaggistica non avrebbe comunque potuto in alcun modo legittimare il fabbricato anche sotto il profilo paesaggistico. Anzi, ove accadesse, tale esito si porrebbe in contrasto con ben due principi: il primo è quello espresso dalla Corte Costituzionale secondo cui «l’interesse paesaggistico deve sempre essere valutato espressamente anche nell’ambito del bilanciamento con altri interessi pubblici»[4] e il secondo è quello relativo alla di tipicità del provvedimento amministrativo il quale non impedisce che il momento di esercizio del potere amministrativo possa essere successivo a quello in cui siano state effettuate le valutazioni che ne sono alla base[5].
Tale sentenza, insomma, altro non fa che confermare un precedente orientamento del Consiglio di Stato espresso dalla sentenza n. 5273/2013 secondo cui «la valutazione di compatibilità paesaggistica è connaturata all’esistenza del vincolo paesaggistico ed è autonoma rispetto alla pianificazione edilizia».
[1] Disposizione dell’art. 146 del Codice dei beni culturali
[2] Sent. Consiglio di Stato n. 3446/2022
[3] Ut. Sopra.
[4] Sent. Corte Costituzionale n. 196/2004
[5] Sent. Cons. Stato n. 1695/2004