Il Consiglio di Stato esclude l’applicabilità del silenzio-assenso nell’ambito della c.d. conferenza paesaggistica ex art. 145, co. 5, Codice del Paesaggio di Niccolò Millefiori

Consiglio di Stato, Quarta Sezione, 29 marzo 2021, sent. n. 2633

CDS_ 2633 del 2021

Con la recente sentenza n. 2633 pubblicata in data 29 marzo 2021, la Quarta del Consiglio di Stato si è pronunciata in merito alla applicabilità dell’istituto del silenzio-assenso di cui all’art. 17-bis della L. 7 agosto 1990, n. 241 nell’ambito della conferenza c.d. “paesaggistica” di cui all’art. 31 della L.R. Toscana 10 novembre 2014, n. 65, vale a dire della speciale conferenza di servizi indetta dalla Regione ai fini dell’adeguamento degli strumenti urbanistici comunali alle previsioni della pianificazione paesaggistica ai sensi dell’art. 146, co. 5 D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; alla stregua di tale previsione e nell’ottica della semplificazione amministrativa, il parere del soprintendente in merito alle istanze di autorizzazione paesaggistica assume natura obbligatoria non (più) vincolante una volta che il Ministero della Cultura abbia accertato l’avvenuto adeguamento degli strumenti urbanistici.

            Il primo grado di giudizio

Nell’ambito del primo grado di giudizio (Tar Toscana, 12 dicembre 2019, sent. n. 1696), il Comune di Montecatini Val di Cecina aveva impugnato la determinazione conclusiva della Conferenza Paesaggistica (composta da Regione Toscana, Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le Province di Pisa e Livorno, Provincia di Pisa ed il Comune stesso) nella parte in cui veniva rilevato che, “in applicazione del comma 7 dell’art. 21 della Disciplina del Piano del PIT-PPR, per la mancata partecipazione della Soprintendenza di Pisa nella fase conclusiva del presente procedimento, non trovano applicazione nel nuovo Regolamento Urbanistico gli effetti di cui all’art. 146, comma 5 del D. Lgs. 42/2004”; e ciò nonostante che la procedura di conformazione fosse stata dichiarata positivamente conclusa. Insieme a tale determinazione, il Comune aveva, quindi, impugnato anche l’art. 21 del P.I.T. (Piano di indirizzo territoriale con valenza di piano paesaggistico), il cui comma 7 è del seguente tenore testuale: “In caso di mancata partecipazione alla conferenza o di parere negativo da parte degli organi ministeriali, l’approvazione degli strumenti della pianificazione territoriale e urbanistica non comporta gli effetti di cui all’articolo 146 comma 5 del Codice”.

Il T.A.R. per la Toscana aveva, poi, accolto i motivi di ricorso fondando la propria decisione su una interpretazione sistematica del procedimento di conformazione. La decisione di primo grado è, infatti, incentrata sulla compatibilità delle conseguenze giuridiche derivanti dalla mancata partecipazione della Soprintendenza alla conferenza paesaggistica previste dall’art. 21 del P.I.T. rispetto al disegno normativo sotteso al D. Lgs. n. 42/2004.

A tal proposito, il Collegio aveva ricordato, in primo luogo, come il Codice del Paesaggio avesse innovato la specifica disciplina di settore sotto il profilo delle relazioni tra pianificazione urbanistica e pianificazione paesaggistica assicurando una catena di continuità tra i due sistemi: la normativa urbanistica non costituisce più, infatti, un ordinamento separato, essendo diventata un momento di ulteriore attuazione concreta di quella paesaggistica; conseguentemente, quest’ultima ha cessato, a sua volta, di costituire solo un limite esterno per la prima, integrando, invece, un criterio informatore della stessa genesi del piano.

È nell’ambito di tale impianto normativo che si innesta il comma 5 dell’art. 145 del Codice, con cui il Legislatore statale ha individuato la partecipazione della Soprintendenza e la previsione di importanti effetti di semplificazione quali caratteristiche essenziali del procedimento di conformazione, demandando invece alle Regioni la normativa di dettaglio. Ciò sul presupposto che la disciplina del PRG (geneticamente) conformato, sulla quale la Soprintendenza deve esprimersi a monte, costituisca sufficiente presidio di garanzia dei valori territoriali che il piano paesaggistico ha inteso proteggere.

In esito a tali considerazioni, il Tar Toscana affermava quindi che “il fatto che questa [la Soprintendenza] attraverso la mancata partecipazione al procedimento di conformazione o attraverso il silenzio espresso nell’ambito dello stesso possa paralizzarne la attuazione non è fatto conforme all’ordinamento”, concludendo per la non conformità del comma 7 dell’art. 21 del P.I.T. alle linee del sistema. Secondo il Collegio, infatti, “la norma, così come è strutturata, finisce per sollevare la Soprintendenza dal dovere di esprimere in modo espresso il proprio assenso o dissenso rispetto alla conformità del piano regolatore al piano paesaggistico e conservare così a sua discrezione il potere autorizzatorio vincolante sui singoli interventi”.

In conclusione, l’assenza della Soprintendenza doveva ritenersi disciplinata dall’istituto del silenzio tra amministrazioni previsto dall’art. 17-bis, L. n. 241/1990 con conseguente acquisizione virtuale dell’assenso del Ministero qualora fossero decorsi i termini di cui al terzo comma della disposizione. In particolare, tale norma è stata ritenuta applicabile nonostante la fattispecie in esame attenesse ad un procedimento attinente alla tutela del paesaggio; ciò in quanto la conferenza paesaggistica non ha natura autorizzatoria ma pianificatoria e coinvolge interessi esclusivamente pubblici.

            La decisione della Quarta Sezione

Di opposto avviso è stata, invece, la Quarta Sezione del Consiglio di Stato, chiamata a pronunciarsi sull’appello proposto dal Ministero e fondato sul duplice profilo della legittimità dell’art. 21 del P.I.T. e della inapplicabilità dell’istituto del silenzio rispetto ad un atto di mera valutazione (quindi diverso da un assenso o nulla osta).

Il Collegio, infatti, condividendo la tesi dell’appellante, ha conseguentemente incentrato la propria decisione sulla questione giuridica relativa all’ambito di applicazione dell’art. 17-bis citato.

Al riguardo, in primo luogo. è stato richiamato l’orientamento dello stesso Consiglio di Stato espresso in merito alla disposizione secondo cui l’istituto in esame “si applica ai procedimenti con fase decisoria pluri-strutturata. La disposizione richiede, quindi, che le due Amministrazioni (quella titolare del procedimento e quella interpellata) condividano la funzione decisoria, nel senso che entrambe devono essere titolari di una funzione decisoria in senso sostanziale” (cfr. parere del Consiglio di Stato n. 1640 del 23 giugno 2016).

Ad avviso del Collegio, il procedimento di conformazione e adeguamento degli strumenti urbanistici alla pianificazione paesaggistica di cui all’art. 145, co. 5 D. Lgs. n. 42/2004 non rientra tra queste ipotesi, poiché la Conferenza paesaggistica “vede la presenza di diverse Amministrazioni le quali non sono chiamate per l’adozione di una decisione pluri-strutturata, ma ai fini di una valutazione di compatibilità ambientale in cui la funzione di tutela del paesaggio, esercitata dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali ed il Turismo con il suo parere obbligatorio e finalizzata ad evitare che sopravvengano alterazioni inaccettabili del preesistente valore protetto, è estranea ad ogni forma di compressione”.

A tal proposito, è opportuno rilevare che il comma 5 dello stesso art. 21 del P.I.T. prevede testualmente che: “La valutazione della conformazione o dell’adeguamento dell’atto è effettuata: a) dagli organi ministeriali competenti e dalla Regione in forma congiunta per le parti che riguardano i beni paesaggistici […]”. In presenza di un simile dato positivo, pertanto, l’interpretazione del quadro normativo di riferimento resa dalla Quarta Sezione si dimostra orientata in chiave sostanziale piuttosto che formale alla luce del ruolo ontologicamente principale svolto dall’Amministrazione “tecnica” – a discapito della Regione – nell’ambito della tutela del paesaggio.

La decisione del Consiglio di Stato si fonda, così, sulla assoluta preminenza del principio sancito dall’art. 9, co. 2, della Costituzione, poiché rende la funzione di valutazione di compatibilità paesaggistica svolta dal Ministero incomprimibile rispetto ai principi di semplificazione e accelerazione amministrativa. In tal senso, la imprescindibilità di una valutazione espressa della Soprintendenza (così come imposta dall’art. 21, co. 7 del P.I.T.) costituisce un carattere fondamentale già dell’impianto normativo previsto dagli artt. 145, co. 5, e 146, co. 5, del Codice che – ad avviso del Collegio – rappresenta una applicazione concreta dello stesso articolo 9.

In conclusione, se fosse applicato il meccanismo del silenzio-assenso secondo quanto previsto dall’art. 17-bis, L. n. 241/1990 si determinerebbe uno svuotamento del contenuto dei poteri riservati alla competenza degli uffici statali preposti alla tutela paesaggistica. È proprio per questa ragione che “il PIT della Toscana ha previsto che le semplificazioni nell’ambito del procedimento per il rilascio delle autorizzazioni paesaggistiche non sono configurabili se non nei casi di parere positivo espresso da parte della Sovrintendenza e non anche nei casi di parere negativo o di mancata partecipazione della stessa Conferenza paesaggistica”.

Quale notazione finale, resta peraltro irrisolta la questione – pure emersa ed affrontata nel giudizio di primo grado – della non sanzionabilità dell’assenza della Soprintendenza che, come rilevato dal Tar Toscana, potrebbe, in via di mero fatto, attraverso la mera “assenza funzionale” dalla suddetta procedura conferenziale, conservare “a regime” il potere autorizzatorio vincolante sui singoli interventi, stante la sostanziale assenza di rimedi (sia amministrativi sia processuali) efficaci avverso la mancata partecipazione alla Conferenza paesaggistica da parte degli organi ministeriali.