I poteri della P.A. in sede di esame della domanda di permesso di costruire di Francesca Pedace

I poteri della P.A. in sede di esame della domanda di permesso di costruire di Francesca Pedace

 

sentenza CdS

 

Per rispondere alla domanda su quali siano i reali poteri della P.A. circa la valutazione dell’istanza di permesso di costruire è bene premettere che il permesso di costruire è un titolo autorizzativo disciplinato dal T.U. sull’edilizia (D.P.R. 380/2001) che viene rilasciato dal Comune dove si intende edificare per eseguire interventi di trasformazione urbanistica ed edilizia.

Trattasi, insomma, di un provvedimento vincolato per il cui ottenimento basta ricorrano i requisiti previsti dalla legge. Il potere dell’Amministrazione esercita in sede di esame della domanda di permesso di costruire, conseguentemente, non è discrezionale bensì vincolato all’accertamento, nel merito, della conformità del progetto alla disciplina urbanistica vigente.

Da quanto sopra deriva che il permesso è soggetto alla generale disciplina dell’attività vincolata della P.A. da cui discendono ulteriori conseguenze: la non obbligatorietà di fornire comunicazioni preventive di rigetto agli interessati e la doverosità del suo rilascio in caso di conformità del progetto e del fabbricato così realizzato alle disposizioni urbanistiche vigenti.

Sul punto si è recentemente espresso il Consiglio di Stato, con ben due sentenze la prima delle quali è la n. 1759 del 14 marzo 2022.

In fatto, la società ricorrente aveva presentato al Comune di Siena istanza di autorizzazione paesaggistica e di permesso di costruire per l’edificazione di due edifici residenziali in conformità con le previsioni contenute nella scheda-progetto del regolamento urbanistico (R.U.).

Con propria nota l’Amministrazione comunale aveva assegnato alla società un termine di 90 giorni per produrre ulteriori documenti facendo presente che il Responsabile del procedimento, su istanza dell’interessato, per casi particolari e in relazione alla complessità dell’istruttoria, avrebbe potuto concedere un termine ulteriore per la presentazione della documentazione. La società ricorrente presentava allora una consistente parte delle integrazioni richieste e, per poter fornire quelle mancanti, richiedeva di stabilire un nuovo termine di scadenza.

Di detta istanza il Comune senese non teneva conto e, anzi, comunicava alla società istante i motivi ostativi al rilascio del permesso di costruire degli abitati motivando la propria decisione esclusivamente sulla base dell’intervenuta scadenza del quinquennio di efficacia della disciplina delle trasformazioni degli assetti insediativi, infrastrutturali ed edilizi del R.U. ex art. 55 co. 4 L.R. Toscana n. 1/2005 nel frattempo intervenuta.

Nonostante le controdeduzioni della ricorrente il comune respingeva poi, pochi mesi dopo, definitivamente, l’istanza di permesso per motivi in gran parte diversi da quelli indicati nel preavviso e cioè, oltre che per la decadenza della scheda-progetto del R.U., anche per il mancato adeguamento delle opere di urbanizzazione alle prescrizioni indicate e per la mancanza di documenti necessari ad istruire la pratica.

La società presentava dunque ricorso al T.A.R. ottenendone l’accoglimento giacché nessuna delle disposizioni invocate dal Comune risultava idonea a fondare la decadenza della scheda del regolamento urbanistico e la sospensione di un procedimento che, ove correttamente istruito permettendo la partecipazione della istante, avrebbe probabilmente consentito a quest’ultima di ottenere il permesso.

Impugnava la sentenza il Comune di Siena, rimasto soccombente, criticando il T.A.R. per l’essersi soffermato su questo aspetto di natura “formale-procedimentale” laddove la sopravvenuta e inopponibile decadenza quinquennale della previsione urbanistica rappresentava il motivo dirimente del diniego dell’istanza.

In questo senso il Consiglio di Stato, ricostruendo parte della motivazione della sentenza di primo grado, riconosceva che – a prescindere dall’illegittimità di un provvedimento di diniego fondato su motivazioni diverse da quelle esposte nel preavviso di rigetto – risultava decisivo il fatto che, in ordine alle criticità di natura progettuale, fosse in corso un’interlocuzione tra la società richiedente e il Comune interrotta da quest’ultimo proprio a causa della sopravvenuta questione della pretesa scadenza delle previsioni dello strumento urbanistico.

In proposito, l’ambito di applicazione dell’effetto decadenziale stabilito dall’art. 55 della legge regionale – stabiliva il Consiglio – doveva intendersi circoscritto ai casi in cui la disciplina urbanistica sottopone l’edificazione all’approvazione di un piano attuativo. Per converso, tale disposizione non poteva trovare applicazione con riferimento ad interventi diretti la cui realizzazione è subordinata al mero rilascio del permesso di costruire quali il caso di specie.

Con ciò il Consiglio di Stato ha confermato la natura vincolativa del permesso di costruire.

La previa approvazione di un piano attuativo viene infatti richiesta unicamente in caso di realizzazione di diversa soluzione progettuale rispetto a quella prevista dalla scheda di progetto al fine di illustrare le motivazioni che hanno condotto alla diversa soluzione progettuale.

Nel caso di specie, non risultava che si versasse nell’ipotesi della disposizione testé citata di intervento modificativo delle previsioni della scheda di progetto quanto che ci si trovasse innanzi ad una mera attività di edificazione in conformità della stessa.

Da quanto sopra si deduce che il permesso di costruire è un atto persino “dovuto” se conforme alle norme dello strumento urbanistico adottato. Di talché la condanna del comune di Siena anche in secondo grado per non averlo concesso.

Un secondo assunto che conferma ulteriormente la natura vincolativa del permesso si riscontra nella possibilità di applicarvi la disciplina di cui all’art. 21 octies della L. 241/1990 il quale esclude l’annullabilità degli atti vincolati per vizi formali qualora l’esito del procedimento non avrebbe potuto essere diverso.

In proposito si consideri la sentenza n. 1933 del 17 marzo 2022 del Consiglio di Stato.

La vicenda trae origine dall’impugnazione del Sig. S.C. dell’ordinanza di demolizione n. 95 del 31/8/2000 emanata dal Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune ove costui aveva realizzato il proprio immobile senza richiedere previamente alcun permesso. In particolare, il ricorrente lamentava la violazione degli artt. 7 e 10 bis della L. 241/90 per non aver ricevuto previa comunicazione dell’avvio del procedimento di demolizione da parte dell’amministrazione. In secondo luogo, lamentava che il provvedimento non poteva che considerarsi illegittimo vista l’incompetenza del responsabile dell’Ufficio Tecnico ad emetterlo al posto del rispettivo dirigente.

L’adito T.A.R., con sentenza, rigettava il ricorso rilevando primariamente come, al di là della valenza degli atti depositati, l’incompetenza eccepita altro non era che un’incompetenza “relativa” (provvedimento emanato da organo diverso dello stesso ente) non bastevole a giustificare l’annullamento del provvedimento.

In questo caso si configura, infatti, un mero vizio procedimentale che, in quanto tale, è sanabile ove l’atto stesso abbia natura vincolata e l’irrilevanza del vizio sul suo contenuto dispositivo sia palese (Cons. Stato Sez. IV, 06/08/2019, n. 5588; Cons. Stato, III, 3 agosto 2015, n. 3791) trattandosi di atto che non avrebbe potuto avere contenuto diverso.

Ciò è quanto ricorre nel caso di specie dove il provvedimento altro non poteva disporre se non la demolizione dei manufatti realizzati in forma totalmente abusiva, sia che a firmarlo fosse il Responsabile dell’Ufficio Tecnico del Comune che il suo dirigente.

Il Collegio rilevava, al riguardo, che l’art. 21-octies della L. n. 241/1990 – che appunto esclude l’annullabilità degli atti vincolati per vizi formali qualora l’esito del procedimento non sarebbe potuto essere diverso – poteva trovare applicazione anche al vizio d’incompetenza relativa, il quale va qualificato come vizio dell’organizzazione e, quindi, ridonda come vizio delle norme che regolano il procedimento (Consiglio di Stato, Sez. VI, 20 gennaio 2022, n. 359; Cons. Stato Sez. II, 9 gennaio 2020, n. 165). La ragione è evidente: laddove alla P.A. non residui comunque la possibilità d’emanare un diverso provvedimento, scatta l’applicazione del principio di conservazione dell’atto e di strumentalità delle forme che inducono a generalizzare la portata dell’istituto dell’illegittimità non invalidante per evitare che la prevalenza di considerazioni procedimentali porti la P.A. stessa alla scelta, antieconomica e in contrasto con il principio di efficienza, di dover riavviare un procedimento i cui esiti siano ab initioscontati.

Anche in questo caso, dunque, quel che è prevalso dalla sentenza è che, pure a fronte del vizio d’incompetenza o di un difetto di inclusione del ricorrente del procedimento, la P.A. risulta sprovvista di qualsivoglia potere diverso da quello meramente di controllo nell’ambito di un procedimento vincolato qual è quello legato al permesso di costruire.