Con sentenza 28 agosto 2023, n. 7987, il Consiglio di Stato, sez. VII, ha ribadito che in tema di fiscalizzazione degli abusi edilizi, l’applicabilità, o meno, della sanzione pecuniaria, può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima, e solo sulla base di un motivato accertamento tecnico che dia conto della impossibilità di eseguire la demolizione senza compromissione della parte legittimamente realizzata. Ne consegue che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive.
La società agricola ha chiesto e ottenuto dal Comune il Permesso di Costruire relativo alla realizzazione di una abitazione agricola e di due serre; il suddetto permesso di costruire non è mai stato attivato, non essendo mai stata data, dalla società, la comunicazione di inizio lavori.
A seguito di indagine della competente Procura della Repubblica veniva invece accertata la realizzazione in loco di opere non previste nel progetto assentito.
Il Comune ha ingiunto la demolizione delle suddette opere entro i successivi novanta giorni.
L’ordinanza è stata impugnata innanzi al TAR sul presupposto che per le opere in questione era stata presentata istanza di sanatoria, ex art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, che non era mai stata esitata formalmente dal Comune.
Il TAR ha respinto il ricorso, rilevando che sulla istanza di sanatoria si era formato il silenzio-rigetto, legittimando in tal modo il provvedimento sanzionatorio; ha ritenuto, inoltre, congruamente motivata l’ingiunzione di demolizione impugnata.
L’odierno ricorrente ha proposto appello.
Qualora si intenda sostenere che le opere in contestazione sono soggette al regime della SCIA e che perciò ad esse si dovrebbe applicare l’art. 37 del D.P.R. n. 380/2001, anziché l’36, comma 3, la censura è infondata, dal momento che l’art. 37 citato, all’ultimo comma richiama, per la sanatoria, l’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001; infine, qualora la censura sia diretta a sostenere che l’istanza di sanatoria non è stata presentata ai sensi dell’art. 36 del medesimo testo unico dell’edilizia, ragione per cui non si sarebbe formato il silenzio rigetto rilevato dal primo giudice, la censura è infondata perché è la stessa appellante ad affermare che si trattava di istanza di tal sorta.
Inoltre, va rilevato che l’ordinanza descrive minuziosamente le opere oggetto del permesso di costruire rilasciato all’appellante, quelle in concreto realizzate, giungendo, in modo condivisibile, ad affermarne la totale difformità rispetto al permesso di costruire e, dunque, a ordinarne la demolizione ex art. 31 del testo unico dell’edilizia.
Va a questo punto rammentato che il carattere doveroso e vincolato della sanzione edilizia, conseguente alla realizzazione di opere eseguite in assenza o in difformità del titolo edilizio, è stato definitivamente riconosciuto dalla Adunanza Plenaria nella sentenza n. 9/2017, che ne ha fatto discendere l’affermazione secondo cui, in tali casi, l’ordine di demolizione non richiede motivazione in ordine alle ragioni di pubblico interesse (diverse da quelle inerenti al ripristino della legittimità violata) che impongono la rimozione dell’abuso, neppure quando la demolizione intervenga a distanza di tempo dalla realizzazione dell’abuso. Per le medesime ragioni la giurisprudenza consolidata esclude la necessità che l’ordine di demolizione debba essere preceduto dalla comunicazione di avvio del procedimento (ex multis: Cons. Stato, Sez. VI, n. 311 del 18 gennaio 2022).
Quanto alla possibile conformità dei manufatti abusivi rispetto alla normativa edilizia e urbanistica vigente, la questione non ha alcuna rilevanza, atteso che a legittimare l’ordine di demolizione è la mera constatazione che un manufatto non sia assistito da titolo edilizio. In ogni caso, dal momento che per i manufatti oggetto di demolizione è stata presentata l’istanza di sanatoria, ai sensi dell’art. 36 del D.P.R. n. 380/2001, sulla quale si è formato il silenzio-rigetto sulla detta istanza, si deve anche escludere che i manufatti medesimi siano conformi alla normativa di riferimento.
Inoltre, il Consiglio osserva che la valutazione circa la natura essenziale o parziale di una variante, rispetto ad un titolo edilizio rilasciato, deve parametrarsi ai titoli edilizi rilasciati, rispetto ai quali deve essere accertata l’entità dello scostamento, secondo quanto indicato all’art. 32 del D.P.R. n. 380/2001 nonché nelle norme regionali di riferimento; spetta, tuttavia, al privato che contesta la natura di variante essenziale di un’opera dimostrare che, secondo i parametri i gli indici di scostamento applicabili, questa ha natura di variante parziale, con quanto ne consegue sul piano sanzionatorio. Nella specie l’appellante non ha tuttavia indicato alcuna ragione concreta per la quale le opere contestate dovrebbero qualificarsi in termini di variante parziale, per cui il motivo risulta formulato in modo generico.
L’appellante ha infine lamentato che non sia stata concessa, dal Comune, la “fiscalizzazione” degli abusi, ai sensi dell’art. 34 del D.P.R. n. 380/2001. Anche questa censura è infondata, in quanto l’applicabilità, o meno, della sanzione pecuniaria, può essere decisa dall’Amministrazione solo nella fase esecutiva dell’ordine di demolizione e non prima, e solo sulla base di un motivato accertamento tecnico che dia conto della impossibilità di eseguire la demolizione senza compromissione della parte legittimamente realizzata (cfr. Consiglio di Stato, sez. VI, 19 febbraio 2018, n. 1063). La valutazione, cioè, circa la possibilità di dare corso alla applicazione della sanzione pecuniaria in luogo di quella ripristinatoria, costituisce una mera eventualità della fase esecutiva, successiva alla ingiunzione a demolire: con la conseguenza che la mancata valutazione della possibile applicazione della sanzione pecuniaria sostitutiva non può costituire un vizio dell’ordine di demolizione ma, al più, della successiva fase riguardante l’accertamento delle conseguenze derivanti dall’omesso adempimento al predetto ordine di demolizione e della verifica dell’incidenza della demolizione sulle opere non abusive (cfr. Consiglio di Stato, VI, 10 gennaio 2020, n. 254; Id., VI, 13 maggio 2021, n. 3783).
In conclusione, l’appello è stato respinto.