La Corte cost., 23 luglio 2024, n. 142 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 123, comma 11, della LR Sardegna 23 ottobre 2023, n. 9, limitatamente all’inciso «degli indici volumetrici e»; dell’art. 128, comma 1, lettera a), della LR Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente all’inciso «condono o»; dell’art. 131, comma 1, lettera a), della LR Sardegna n. 9 del 2023, nella parte in cui aggiunge la lettera f-bis) all’art. 15, comma 1, della legge della Regione Sardegna 11 ottobre 1985, n. 23 limitatamente all’inciso «pergole bioclimatiche, intese come».
Le questioni aventi ad oggetto il comma 11 del medesimo art. 123, promosse in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, per contrasto con l’art. 41-quinquies, commi ottavo e nono, della legge n. 1150 del 1942, con l’art. 4 del decreto assessoriale n. 2266/U del 1983, nonché con gli artt. 2-bis e 14 t.u. edilizia sono fondate, come di seguito precisato.
La disposizione di chiusura della disciplina sul riutilizzo dei sottotetti prevede, tra l’altro, che tanto gli interventi di «riuso» (senza incremento della sagoma esterna dell’immobile, disciplinati dai commi da 2 a 5) quanto quelli di «recupero» (con incremento della sagoma esterna dell’immobile disciplinati dai commi da 6 a 9) possano creare nuovo volume urbanistico anche «mediante il superamento degli indici volumetrici e dei limiti di altezza previsti dalle vigenti disposizioni comunali e regionali».
Di tale proposizione è oggetto di dubbio di illegittimità costituzionale la sola norma che consente il superamento delle soglie volumetriche e non anche quella relativa alle altezze.
Evidentemente la previsione normativa consente espressamente, in via stabile e in termini generali, di disattendere gli standard di densità edilizia fissati dall’art. 4 del decreto assessorile n. 2266/U/1983, o quelli, eventualmente superiori, previsti dai piani urbanistici senza rispettare le condizioni cui al legislatore regionale è consentito introdurre deroghe alle evocate norme fondamentali di riforma economico-sociale.
In particolare, quanto agli indici volumetrici dettati dalla normativa regionale, l’impugnata disposizione derogatoria prescinde dalla necessità del relativo recepimento negli strumenti urbanistici, come prescritto dall’art. 2-bis t.u. edilizia.
Quanto invece alla deroga alla potenzialità edificatoria eventualmente stabilita, in termini più rigorosi, dalle disposizioni dei piani comunali, la disciplina non rispetta il principio di proporzionalità.
Infatti, l’art. 123, comma 11, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, pur nella apprezzabile finalità di ridurre il consumo di suolo, disattende la densità prevista dagli strumenti urbanistici in termini stabili, assentendo in via generale gli interventi di riutilizzo con riguardo ad un novero particolarmente ampio di spazi e volumi.
La norma regionale impugnata, in conclusione, vulnera, per entrambi i versi, l’interesse all’ordinato sviluppo edilizio presidiato dagli standard e dal principio di pianificazione.
Per ripristinare la legittimità costituzionale della disposizione regionale censurata è sufficiente espungere l’inciso «degli indici volumetrici e», permanendo, in quanto non impugnata, la norma derogatoria alla disciplina delle altezze.
Va, pertanto, dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 123, comma 11, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente all’inciso «degli indici volumetrici e».
Il Presidente del Consiglio dei ministri dubita, poi, della legittimità costituzionale dell’art. 128, comma 1, lettere a) e b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 che pongono le «[c]ondizioni di ammissibilità degli interventi [di recupero del patrimonio edilizio di cui agli articoli da 123 a 127] e [le] disposizioni comuni».
Le disposizioni prevedono che «1. Gli interventi di cui agli articoli da 123 a 127 non sono ammessi: a) negli edifici o nelle unità immobiliari privi di titolo abilitativo, ove prescritto; qualora le unità immobiliari siano difformi da quanto assentito con regolare titolo abilitativo, la richiesta per gli interventi di cui ai presenti articoli è ammissibile a condizione che per le difformità siano conclusi positivamente i procedimenti di condono o accertamento di conformità, anche a seguito di accertamento di compatibilità paesaggistica, ove previsto; b) negli edifici completati successivamente alla data di entrata in vigore della presente legge, come risultante dalla comunicazione di fine lavori o da perizia giurata di un tecnico abilitato, che attesti il completamento dell’ingombro volumetrico con realizzazione delle murature perimetrali e della copertura».
In particolare, il ricorrente critica, da un lato, la norma che consente le opere di riutilizzo degli spazi e volumi su immobili che presentano difformità dal titolo abilitativo, ma sanate con il procedimento di condono (lettera a) e, dall’altro, la norma che, a contrario, le ammette su tutti gli edifici completati alla data di entrata in vigore della stessa legge reg. Sardegna n. 9 del 2023 (lettera b).
Per quanto concerne la previsione temporale di cui all’art. 128, comma 1, lettera b), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, il ricorso deduce che la norma autorizzerebbe, per una vastissima platea di cespiti, cubature aggiuntive in distonia con la pianificazione generale e la dotazione minima degli standard minimi urbanistici.
D’ufficio deve rilevarsi l’inammissibilità delle questioni formulate.
In tutto il complesso normativo in scrutinio, il legislatore regionale delimita agli edifici «esistenti» la realizzabilità dei diversi interventi regolati; e la disposizione di chiusura non fa altro che delimitare la nozione a quelli già completati alla data della sua entrata in vigore.
A fronte di tale quadro normativo, il ricorrente non argomenta minimamente come la norma possa, di per sé, vulnerare i limiti di densità edilizia.
Per quanto concerne l’impugnazione della norma che consente il riutilizzo degli immobili con difformità sanate con condono (art. 128, comma 1, lettera a, della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023), deve precisarsi che, diversamente dalla restante parte del ricorso, l’illegittimità costituzionale non è sostenuta in relazione alla sua portata derogatoria rispetto alla potenzialità volumetrica stabilita dagli standard urbanistici e dalla pianificazione. Piuttosto, tramite il richiamo di quanto affermato dalla sentenza n. 24 del 2022, il ricorrente contesta che sarebbe violato «“il carattere generale del divieto di concessione di premialità volumetriche per gli immobili abusivi, espressivo della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative”».
La questione è fondata in riferimento all’art. 3 dello statuto speciale, come di seguito precisato.
Il divieto di riconoscimento di benefici edilizi per gli immobili abusivi, pur condonati, assurge a principio dell’ordinamento giuridico della Repubblica e, come tale, costituisce limite della potestà legislativa primaria della Regione autonoma Sardegna.
Tale principio, con la precisazione di cui appresso, si ricava dalla legislazione dei condoni edilizi e trova conferma nell’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.
Come noto, con la normativa concernente il condono (art. 31 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, recante «Norme in materia di controllo dell’attività urbanistico-edilizia, sanzioni, recupero e sanatoria delle opere abusive»; art. 39 della legge 23 dicembre 1994, n. 724, recante «Misure di razionalizzazione della finanza pubblica» e art. 32 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, recante «Disposizioni urgenti per favorire lo sviluppo e per la correzione dell’andamento dei conti pubblici», convertito, con modificazioni, nella legge 24 novembre 2003, n. 326), il legislatore nazionale, in via straordinaria e con regole ad hoc, ha consentito di sanare situazioni di abuso, perpetrate sino ad una certa data, di natura sostanziale, in quanto difformi dalla disciplina urbanistico-edilizia (tra le altre, sentenze n. 42 del 2023, n. 68 del 2018, n. 232 e n. 50 del 2017).
Le diverse pronunce di questa Corte sulla legislazione sui condoni edilizi sono accomunate dall’«insistente ricorso ad aggettivi come “eccezionale”, “straordinario”, “temporaneo” e “contingente” utilizzati per descriver[la]» e dalla sottolineatura della «peculiare ratio di queste misure, da considerare come assolutamente extra ordinem e destinate a operare una tantum in vista di un definitivo superamento di situazioni di abuso» (così, sentenza n. 181 del 2021).
Quanto agli effetti, il condono non elide la situazione di illiceità, ma opera unicamente su due piani e in particolare «sul piano penale, al ricorrere dei presupposti di legge, determina l’estinzione dei reati edilizi [e] su quello amministrativo comporta il conseguimento della concessione in sanatoria (e l’estinzione dell’illecito amministrativo)» (sentenze n. 44 del 2023 e n. 70 del 2008).
Dalla limitata portata delle sanatorie straordinarie si ricava che l’immobile che ne è oggetto non può giovarsi delle normative che riconoscono vantaggi edilizi che esorbitino dagli interventi di manutenzione, ordinaria o straordinaria, e di ristrutturazione finalizzati alla tutela dell’integrità della costruzione e alla conservazione della sua funzionalità.
A tale ultimo proposito, può rammentarsi che questa Corte ha già avuto modo di statuire la ragionevolezza della sottoposizione degli immobili condonati ad un regime più rigoroso quanto alle opere edilizie che alterino le caratteristiche visibili all’esterno o comunque la sagoma, l’altezza, la superficie o la volumetria dell’edificio rispetto a quello previsto per gli interventi tesi a preservare l’integrità e la funzionalità delle costruzioni (sentenza n. 238 del 2000).
Dell’affermato principio generale fa applicazione l’art. 5, comma 10, del d.l. n. 70 del 2011, come convertito.
Tale disposizione speciale esclude la realizzabilità negli immobili abusivi, ad eccezione di quelli per cui sia stato rilasciato il titolo abilitativo in sanatoria, di tutti gli interventi eccezionali consentiti dalla legislazione del Piano casa (e dunque, oltre agli incrementi volumetrici premiali, la delocalizzazione delle volumetrie in aree diverse, le modifiche delle destinazioni d’uso, le modifiche alla sagoma).
Secondo quanto già precisato da questa Corte (sentenza n. 24 del 2022 e, in senso conforme, sentenze n. 119 del 2024 e n. 90 del 2023), il riferimento di tale norma al titolo in sanatoria «si deve interpretare in senso restrittivo, in coerenza con la terminologia adoperata dal legislatore e con la ratio della normativa in esame». Dunque, esso è da riferire esclusivamente all’«accertamento di conformità» di cui all’art. 36 t.u. edilizia, il quale consente «la regolarizzazione postuma di abusi difettosi nella forma, ma non nella sostanza, in quanto privi di danno urbanistico» (sentenza n. 42 del 2023).
Così delimitata, la norma speciale – deve ripetersi − è espressione «della scelta fondamentale del legislatore statale di disconoscere vantaggi in caso di abuso e di derogare a tale principio in ipotesi tassative» (ancora, sentenza n. 24 del 2022).
In conclusione, la disposizione regionale impugnata, nel consentire gli interventi di riutilizzo del patrimonio esistente per i cespiti che abbiano sanato le difformità da quanto assentito dal titolo abilitativo con il procedimento di condono, al pari di quelli che abbiano ottenuto l’accertamento di conformità, viola il menzionato principio.
Pertanto, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 128, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente all’inciso «condono o».
L’impugnazione ha ad oggetto anche l’art. 131 della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, limitatamente al comma 1, lettera a), che aggiunge la lettera f-bis) all’art. 15, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, per violazione dell’art. 3 dello statuto speciale per il tramite dell’art. 6 t.u. edilizia.
La norma impugnata inserisce nell’elenco delle opere consentite in Sardegna senza titolo abilitativo e senza previa comunicazione, previsto dall’art. 15, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, «gli interventi finalizzati al posizionamento di pergole bioclimatiche, intese come pergole aperte almeno su tre lati, coperte con elementi retraibili tipo teli o lamelle anche orientabili e motorizzabili, per consentire il controllo dell’apertura e della chiusura, tanto in aderenza a fabbricato esistente che isolate».
L’Avvocatura dello Stato ne lamenta il contrasto con la predetta norma fondamentale di riforma economico-sociale che autorizza in regime di edilizia libera, tra l’altro, l’apposizione degli elementi di arredo delle aree pertinenziali: in tale nozione sarebbero annoverabili i pergolati, le pergole e le pergotende, ma non le «pergole bioclimatiche», piuttosto assimilabili alle tettoie, che richiedono un apposito titolo abilitativo.
In via preliminare, è necessario rammentare che la formula normativa oggetto di scrutinio è quella dell’art. 15, comma 1, lettera f-bis), della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, nella versione vigente sino al 19 dicembre 2023, in quanto il menzionato ius superveniens (art. 4, comma 2, della legge reg. Sardegna n. 17 del 2023) − non impugnato − ha sostituito nella stessa lettera f-bis), a far data dal 20 dicembre 2023, la dizione «pergole bioclimatiche» con quella di «pergotend[e]», lasciando, invece, immutata la definizione della copertura liberalizzata.
La chiarita delimitazione temporale esime questa Corte da qualsivoglia confronto con la recentissima modifica − ad opera del decreto-legge 29 maggio 2024, n. 69 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazione edilizia e urbanistica), peraltro non convertito − del parametro interposto, che ora espressamente prevede, a determinate condizioni, la libera collocazione delle tende a pergola (ma, comunque, non anche alle pergole bioclimatiche).
La questione è fondata, come di seguito precisato.
L’art. 6, comma 1, lettera e-quinquies), t.u. edilizia, annovera tra gli interventi che non richiedono alcun titolo abilitativo «gli elementi di arredo delle aree pertinenziali degli edifici». A sua volta, il decreto del Ministero delle infrastrutture 2 marzo 2018, di approvazione del glossario contenente l’elenco non esaustivo delle principali opere edilizie realizzabili in regime di attività in edilizia libera, inserisce nella categoria degli elementi di arredo delle aree pertinenziali il pergolato (voce numero 46, se di limitate dimensioni e non stabilmente infisso al suolo), nonché la tenda a pergola e la pergotenda (voce numero 50, cui sono accomunate la tenda e la copertura leggere di arredo).
Tutti i menzionati manufatti sono preordinati a ombreggiare lo spazio circostante e, eventualmente, anche a ripararlo da agenti atmosferici. Inoltre, secondo la giurisprudenza amministrativa, pur nelle loro diverse caratteristiche, tutti tali manufatti sono strutture che, nella copertura e nell’eventuale chiusura perimetrale, non presentano elementi di fissità, stabilità e permanenza e, conseguentemente, non danno vita a nuovi volumi (si veda per tutte, Consiglio di Stato, sezione seconda, sentenza 15 novembre 2023, n. 9808; sezione sesta, sentenza 25 gennaio 2017, n. 306).
In particolare, per rientrare tra le opere erigibili senza titolo abilitativo, devono avere una struttura leggera e l’elemento orizzontale con funzione protettiva deve essere non massiccio e apribile. In presenza di tali caratteristiche, non è rilevante il materiale da cui quest’ultimo è costituito, che può essere di tessuto, di plastica o di alluminio.
Come affermato dal ricorrente, da tali arredi si distingue la pergola bioclimatica.
Infatti, questa è una struttura di nuova generazione che, nel linguaggio edile e delle prime pronunce dei giudici amministrativi che se ne sono occupati, si contraddistingue per la dotazione di una copertura a lamelle sì orientabili, ma non retraibili.
In difetto di una protezione completamente retrattile, l’opera è da assimilare a una tettoia in quanto genera uno stabile spazio chiuso e richiede un apposito titolo edilizio.
La reductio ad legitimitatem della norma impugnata si ottiene con l’espunzione dell’inciso «pergole bioclimatiche, intese come». Infatti, l’ulteriore porzione della norma sarda − che definisce l’intervento liberalizzato nel posizionamento di «pergole aperte almeno su tre lati, coperte con elementi retraibili tipo teli o lamelle anche orientabili e motorizzabili, per consentire il controllo dell’apertura e della chiusura, tanto in aderenza a fabbricato esistente che isolate» − non collide, per quanto esposto, con l’evocato parametro interposto.
In conclusione, deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 131, comma 1, lettera a), della legge reg. Sardegna n. 9 del 2023, che aggiunge la lettera f-bis) all’art. 15, comma 1, della legge reg. Sardegna n. 23 del 1985, limitatamente all’inciso «pergole bioclimatiche, intese come».