Ancora sui principi perequativi e sulle modalità di attuazione nei piani urbanistici

di 13 Ottobre 2004 Incontri

(Relazione al Convegno INU La perequazione urbanistica: dai principi all’attuazione, Monopoli 30 aprile 2004, ora in RGU 4/2004)

Nei tre punti di seguito elencati, a mio avviso, si racchiudono tutte le problematiche inerenti la questione delle nuove tecniche di conformazione dell’uso dei suoli e di attuazione delle prescrizioni urbanistiche attraverso il sistema perequativo:
A) finalità della perequazione;
B) rapporti tra piano urbanistico e perequazione;
C) perequazione e diritto di proprietà.

Come sappiamo quando si affrontano i problemi della perequazione urbanistica si invocano i temi della democrazia e della sostenibilità, della non discriminazione tra proprietari.
Assolutamente vero ma poiché la questione involve sia gli interessi generali della collettività locale ma anche i diritti di proprietà, non possiamo obliterare le questioni giuridiche anche di ordine costituzionale che si pongono per verificare la compatibilità delle pratiche e della normativa regionale con il sistema urbanistico vigente e con la ripartizione della competenze legislative in diverse materie che s’intrecciano con la perequazione.

A) finalità della perequazione

Molto brevemente si possono riassumere qui le finalità generali:
– l’applicazione anche all’urbanistica del principio di giustizia redistributiva propria di altri settori della vita sociale (degli stipendi, dei salari, fiscale, tributaria) e quindi la ricerca della cosiddetta “indfferenza” dei proprietari rispetto alla scelte di piano, al fine di evitare discriminazioni;
– la marginalizzazione dell’istituto espropriativo: in breve il passaggio dall’autoritatività delle scelte pubbliche verso la ricerca del consenso;
– la copertura del fabbisogno di opere pubbliche (opere di urbanizzazione) al di là della garanzia degli standards urbanistici al fine di colmare il gap di opere pubbliche comunali;
– il superamento della rigidità funzionale delle zone in funzione della mixité;
– la realizzazione a carico del proprietario delle opere di urbanizzazione: principio che si riconnette al passaggio della proprietà da fondiaria ad edilizia;
– la flessibilità delle prescrizioni urbanistiche e la loro attuazione mediante un’urbanistica relazionale la cui attuazione cioè è basata essenzialmente sulle “relazioni contrattuali” che s’instaurano con i destinatari delle prescrizioni urbanistiche ove l’amministrazione si limita a svolgere un funzione di terzietà rispetto alla realizzazione delle scelte pianificatorie;

B) rapporti tra piano urbanistico e perequazione

Il secondo profilo riguarda – a legislazione invariata – il problema della compatibilità dei sistemi perequativi con il sistema di pianificazione comunale vigente fondato sulla zonizzazione – ovvero con la matrice razionalista del piano – ; detto in altre parole la compatibilità tra perequazione e principio di legalità che informa la pianificazione urbanistica.
Il nucleo irrinunciabile della pianificazione comunale sta nello zoning ai sensi dell’art.7 della l.u.: prova ne sia l’annullamento del PRG di Brescia (TAR Lombardia 20.11.2002 n.1000) che prevedeva invece una microzonizzazione in luogo dell’omogeneità delle singole zone.
La strada quindi per ammettere la perequazione è quella di considerarla non un fine in sé ma un mezzo: essa si deve collocare nella fase attuativa del piano. (TAR Campania, 15.1.2002 n.670) ed inoltre deve riguardare alcuni ambiti particolari del territorio ordinati in comparti e preventivamente identificati dal piano. La perequazione quindi attua e non deroga il principio di zonizzazione del piano[1]. Su questo aspetto anche il TAR E.Romagna 14 1 1999 n.22 che su un
caso specifico parla di perequazione sulla base dell’identificazione di una zona-mista a valenza ecologica(edificabile e destinata a verde attrezzato).
Che poi all’interno degl’ambiti (o comparti) vi sia un’equa distribuzione dei diritti edificatori, che vi sia una quota di aree da cedere al comune, che l’indicazione di piano concentri l’edificabilità sola in ua parte del comparto, queste sono questioni che non inficiano il principio di legalità della pianificazione urbanistica per comparti.
In sostanza, quindi, piena legittimità del sistema perequativo parziale e a posteriori – come ormai viene chiamato – per ambiti di trasformazione preventivamente identificati dal PRG.
Tuttavia, le leggi regionali hanno individuato come sappiamo sistemi diversi che presuppongono una divisione del territorio comunale in categorie di aree alle quali assegnare in rapporto alla stato di fatto e di diritto esistente a prescindere delle successive scelte di piano, determinati indici edificatori; successivamente il PRG determina su queste aree la destinazione d’uso dei suoli che può premiare o
condizionare il godimento dei diritti edificatori concessi ai privati, prevedendosi in molti casi che alcuni proprietari trasferiscano i propri diritti di volumetria su altre aree o li cedano a terzi.
Par di capire che in alcuni casi poi il surplus di edificabilità concesso ad alcune aree sia appannaggio dell’amministrazione che lo distribuisce sul territorio o lo riserva per finalità pubbliche[2].
La questione non è secondaria perché qui l’operazione comporta che l’identificazione delle capacità edificatorie è fatta ante piano (nello stato di fatto e di diritto delle aree) e si presuppone generalizzata e non parziale; inoltre si contraddice il principio fondativo della pianificazione fondato sulla zonizzazione e sul suo valore precettivo.
Non credo si possa parlare di perequazione nel rispetto del principio di legalità anche se vi è espressa copertura legislativa regionale, non sufficiente poiché si toccano questioni – il regime della proprietà – che è materia riservata al legislatore statale.
Ancora: c’è da domandarsi se queste normative pongano o meno questioni di costituzionalità delle leggi regionali riguardo al contenuto dei principi fondamentali della materia urbanistica deducibili dalla legislazione vigente.

C) perequazione e diritto di proprietà

Da quanto è emerso ci si deve concentrare ora sui profili civilistici che possono così riassumersi.
In primo luogo la considerazione dei diritti edificatori ancorati strettamente all’edificabilità delle aree che al contrario diventano diritti immateriali che avrebbero “libera” circolazione: tuttavia se ci muoviamo nell’ambito dei diritti reali la “volumetria” non vi rientra civilisticamente. In secondo luogo, si pone un problema di trascrivibilità di tale diritto (dove? Nella conservatoria dei registri immobiliari non è previsto) e della sua durata nel tempo nonché della formalità di circolazione di tale diritto specie se ci si dovesse trovare nel sistema della perequazione generalizzata non ristretta quindi ad ambiti.
In secondo luogo si pone il problema di definire cosa sia il contratto di volumetria che entra in gioco quando si trasferiscano i volumi edificatori al di fuori dei comparti o degli ambiti territoriali delimitati dal piano urbanistico, poiché secondo parte della giurisprudenza questo è considerato un contratto di trasferimento di un diritto immobiliare consistente nello jus aedificandi (ma abbiamo già visto che non rientra nel numero chiuso dei diritti reali) oppure come un contratto costitutivo di una servitù che grava sul fondo del tradens a favore dell’accipiens, oppure ipotesi più fattibile un contratto ad effetti obbligatori inserendosi in una fattispecie complessa finalizzata a far acquisire al richiedente la concessione edilizia un incremento del volume edificabile formata dallo stesso contratto e dal procedimento amministrativo di rilascio della concessione edilizia[3].
Perché sollevo questi problemi? Perche mentre nell’ambito dei comparti queste questioni sono meno rilevanti sia perché vi è il consorzio dei proprietari che regola i rapporti tra amministrazione e proprietari, sia perché il comparto ha tempi certi di attuazione sia perché di norma i diritti edificatori si distribuiscono all’interno del
comparto stesso, con il sistema generalizzato i rapporti tra amministrazione e privato s’individualizzano ma soprattutto potremmo avere il caso di soggetti privati che dispongano di diritti edificatori completamente decontestualizzati dai suoli e la cui utilizzazione non è definita da tempi certi.
Il testo di legge sul governo del territorio in discussione alla Camera dei deputati affronta alcuni di questi aspetti ma in modo non del tutto soddisfacente.
In primo luogo rende facoltativo il ricorso alla perequazione e non obbligatorio e questo è senz’altro principio condivisibile; in secondo luogo questa si applica nell’ambito di ambiti territoriali oggetto di trasformazione urbanistica; in terzo luogo ammette che i diritti edificatori siano attribuiti a prescindere dal piano, quindi in questo modo rompe il principio di zonizzazione e innova rispetto al principio di pianificazione ed al contenuto della funzione amministrativa attribuita ai comuni; infine rende liberamente commerciabili tali diritti ma solo all’interno degli ambiti delimitati ma senza affrontare i problema del contratto di volumetria e della trascrizione dei diritti immateriali.
Non risolve cioé il problema della natura giuridica del diritto edificatorio come bene immateriale anche se non è in grado di sganciarlo dalle proprietà immobiliari (si parla infatti di diritti edificatori attribuiti in percentuale del complessivo valore delle proprietà immobiliari) e non affronta il problema della trascrivibilità e della durata del diritto edificatorio.
In assenza della riforma quindi, a mio avviso, i sistemi perequativi generalizzati rischiano di essere illegittimi ed in contrasto con la disciplina costituzionale della proprietà.

Paolo Urbani
Roma – Ottobre 2004


[1] Boscolo, Una conferma giurisprudenziale (e qualche novità legislativa) in tema di perequazione in RGE 2003, 822
[2] Sia consentito rinviare al P.Urbani, Problemi giuridici della perequazione
urbanistica in RGU 2002.
[3] Come si vede, la fattispecie esaminata tende ad essere riassorbita all’interno di profili prevalentemente pubblicistici ove la prescrizione urbanistica determinata dal piano assume rilevanza determinante e condizionante l’intero processo del trasferimento di volumetria.
Nella prassi, d’altronde, per l’ammissibilità dei trasferimenti di volumetria si richiede: a) il consenso del tradens; b) che il trasferimento avvenga nell’ambito del medesimo lotto contiguo e con la stessa destinazione urbanistica o anche in aree non contigue; c) che il consenso acquisito dalla p.a. sia oggetto di una scrittura privata autenticata o di atto d’obbligo, richiedendo quindi l’intervento dei notai; d) che in tali atti il tradens s’impegni nei confronti del comune a non edificare totalmente o parzialmente; e) il provvedimento di concessione edilizia che preso atto dell’obbligazione di asservimento, autorizza la maggiorazione di volume.