
Il termine Smart city ha fatto la sua iniziale comparsa soprattutto negli studi sociologici, economici e urbanistici.
L’interessamento da parte del mondo giuridico è stato una diretta conseguenza, soprattutto in ragione di alcuni interventi del legislatore, UE e nazionale, che hanno menzionato il termine s.c. Si allude, in particolare, alla Strategia Europa 2020 (adottata con Comunicazione della Commissione, 3 marzo 2010, n. 2020) e alla legge di bilancio 2020 (art. 1, c. 437) dove è presente la locuzione “Smart city” ma senza contestualmente offrire una definizione del fenomeno.
Dalla normativa citata, si evincono solo alcuni tratti della c.d. smart city (finalità complessive, considerabili come “macro-principi”); e cioè che si tratta del modello di crescita più indicato per l’innovazione urbana, in cui si concretizza quella «crescita intelligente, sostenibile e inclusiva».
La mancanza di una definizione giuridica di s.c. (dovuta, probabilmente, al suo essere nozione essenzialmente vaga ed eterogenea) ha indotto, per comprendere e definire il fenomeno, a un confronto con concetti similari, dotati di una definizione normativa, che potesse risultare utile, per assimilazione o per contrasto, a colmare la lacuna definitoria.
Il primo confronto è con il concetto di Comune, che il termine “città” evoca per istintiva associazione di idee. Il Comune, secondo la Cost. e il TUEL è un livello di governo del territorio, delimitato rigidamente sul piano spaziale, mentre la città – e quindi, a fortiori, la s.c. – non lo è, posto che la città (soprattutto dopo la legge n. 56/2014 e i processi di aggregazione comunale – unioni e fusioni di Comuni su tutti – ivi previsti) [1] può anche superare i confini della tradizionale cornice giuridico-amministrativo comunale (peraltro, nel TUEL, il titolo di “città” è attribuito solo onorificenza, quindi senza effetti pratici significativi). Il concetto di s.c., inoltre, non è neppure confondibile con la nozione di città metropolitana che è livello sovracomunale di governo del territorio.
Il secondo confronto è con la nozione di “comunità intelligente”, concetto similare evocato dall’art. 20 d.l. n. 179/2012 (conv. con l.n. 221/2012) – per taluni corrispettivo italiano della locuzione smart city – e definito nelle linee guida pubblicate dall’AgID nel 2012 (a cui l’art. 20 demandava in origine l’attuazione), come «quel luogo e/o contesto territoriale ove l’utilizzo pianificato e sapiente delle risorse umane e naturali, opportunamente gestite e integratemediante le numerose tecnologie i.c.t. [dell’informazione e della comunicazione] già disponibili, consente la creazione di un ecosistema capace di utilizzare al meglio le risorse e di fornire servizi integrati e sempre più intelligenti (cioè il cui valore è maggiore della somma dei valori delle parti che li compongono)».
Da ciò si può ricavare un’idea di s.c. meno evanescente: è l’aspirazione (un obiettivo di politica generale) a che un contesto territoriale (più o meno vasto)[2], attraverso l’interconnessione tecnologica i.c.t., viaggi verso un modello di crescita sostenibile e inclusivo, finalizzato a una miglior qualità della vita collettiva (anche in termini di erogazione di servizi o sfruttamento delle opportunità). Postulato implicito – ricavabile dalle norme esaminate (che parlano di obiettivi politici, mediante utilizzo pianificato delle risorse, opportunamente gestite e integrate) – della qualificazione della s.c. in termini di aspirazione è che lo strumento ordinamentale per realizzarla sia l’intervento del pubblico (vedremo poi con che ruolo e peso).
Completando il discorso, dunque, sul piano definitorio la s.c. può essere considerata una finalità (le norme presentano un carattere meramente ottativo: realizzare un modello di crescita intelligente, sostenibile e inclusiva) verso la quale devono tendere tutta una serie di politiche pubbliche (politiche normative e amministrative, locali e nazionali), le quali, attraverso la loro operatività congiunta, devono tendere al risultato complessivo di migliorare la qualità della vita dei cittadini, servendosi – quale momento indefettibile – di nuove tecnologie che consentano l’interconnessione, la condivisione e una crescita sostenibile (realizzando, per tale via, un modello ideale di città).
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Per realizzare questo disegno ideale di città, dunque, appare a questo punto coessenziale stabilire quale sia il ruolo giocato dal potere pubblico.
Sul piano internazionale due sono i modelli di riferimento per la realizzazione della s.c.
Quello statunitense (bottom-up), che propende per un sostanziale arretramento delle autorità pubbliche (e delle sue funzioni) a fronte di quei fenomeni sorti spontaneamente dalla collettività che, attraverso l’uso tecnologia, coniughino inclusione, sostenibilità e crescita (è il caso di Uber e della mobilità condivisa). In questo modello (dello Stato facilitatore), il potere deve lasciare liberi i fenomeni di svilupparsi e, al più, rimuovere (su sollecitazione del mercato) gli ostacoli normativi sfavorevoli allo sfruttamento delle nuove tecnologie.
Quello europeo (top-down) che, all’opposto, presuppone l’intervento del pubblico, attraverso o investimenti pubblici (soprattutto infrastrutturali) e/o un’attività di indirizzo da parte degli organi di governo. Si ha, dunque, un’individuazione dall’alto delle misure da adottare per raggiungere gli obiettivi della s.c., attraverso l’uso combinato di diversi strumenti amministrativi che, quanto all’attività di indirizzo, sono per lo più riconducibili allo schema della Governance (quale sistema complesso di moduli e modelli di azione e di comportamento che, essendo caratterizzati da un’elevata flessibilità, consentono alle istituzioni di interagire attivamente con i poteri privati), muovendosi sul terreno del soft law (in particolare, linee guida e raccomandazioni). Si tratta di prescrizioni sfornite di efficacia vincolante diretta e seguite in via spontanea dalle parti, non essendo direttamente sanzionata l’eventuale violazione.
Il sistema italiano, la cui filosofia si ispira al modello di derivazione europea (in cui i poteri pubblici hanno un ruolo attivo nella realizzazione della s.c.), presenta tuttavia delle peculiarità. La disciplina nazionale, infatti, si è caratterizzata per una maggior incidenza dell’intervento pubblico nell’attuazione delle s.c., sia attraverso misure di sostegno economico all’imprenditoria legata all’i.c.t. e alla s.c., sia, soprattutto, reindirizzando – nel segno degli obiettivi di cui alla s.c. – l’esercizio di tradizionali funzioni precettive e vincolanti, quali, ad es., quelle di pianificazione territoriale e programmazione strategica.
Ma non sono infrequenti fenomeni (in controtendenza) riconducibili a misure bottom-up, favorite da una lettura in chiave evolutiva del principio di sussidiarietà orizzontale (ex art. 118 Cost.).
Più precisamente:
– Politiche di sostegno: l’attuazione delle politiche in materia di comunità intelligenti è avvenuta assegnando agli apparati amministrativi essenzialmente il ruolo di public procurers, che destinano parte della spesa pubblica verso la realizzazione di strumenti e prodotti innovativi, orientando il mercato verso un’economia digitale. Ad es., in attuazione dell’art. 20, co. 3-bis del d.l. n. 83/2012 (che attribuiva il compito di “sviluppo di grandi progetti strategici di ricerca e innovazione […] con l’obiettivo di favorire lo sviluppo delle comunità intelligenti)[3], il MIUR, in virtù soprattutto della delega conferitagli in materia di innovazione tecnologica, ha emanato decreti ministeriali o atti interni attraverso cui sono stati adottati bandi di ricerca, stanziando ingenti finanziamenti pubblici. Sotto questo profilo, Ciò è avvenuto anche in concomitanza con le ricostruzioni post sismiche del 2009 e del 2012, rispetto alle quali il CIPE ha stanziato fondi affinché la ricostruzione delle aree dovesse prioritariamente passare attraverso «nuove attività imprenditoriali collegate alla realizzazione delle infrastrutture innovative per le smart-cities (mobilità, energia, telecomunicazioni, sicurezza e centri per il comando e controllo)».
La filosofia di fondo è stata quella di incentivare economicamente il mercato a offrire servizi sostenibili che sfruttassero le tecnologie digitali, anziché farsi diretto erogatore di un servizio pubblico (è il caso, ad es., della mobilità smart e condivisa).
– Programmazione strategica: incentivare le politiche infrastrutturali che (sul piano della strumentazione) trovano fondamento normativo nel Codice dei contratti pubblici, che ha nel Piano Generale dei Trasporti e della Logistica (PGTL) e nel Documento Pluriennale di Pianificazione (DPP), gli strumenti per la pianificazione e la programmazione (artt. 200-201) e per la progettazione (art. 23) delle infrastrutture e degli insediamenti prioritari per lo sviluppo del Paese. In quest’ottica, la programmazione deve favorire quelle infrastrutture fisiche (reti di interconnessione territoriale per favorire la mobilità) e digitali (reti di comunicazione ad alta velocità) e la loro operatività congiunta.
Incentivare la mobilità sostenibile Piani Urbani della Mobilità Sostenibile (PUMS) – in attuazione della direttiva 2014/94/UE 99, «che riguarda in modo particolare le città metropolitane, ed evidenzia
un chiaro indirizzo per procedere verso una stagione di pianificazione della mobilità sostenibile metropolitana».
Sotto l’aspetto dei finanziamenti alla realizzazione delle infrastrutture, il tema delle s.c. incontra quello dei progetti finanziati dal PNRR, rientrando la tematica nelle missioni 1 (Digitalizzazione che promuove, tra le altre cose, progetti di Mobility), 2 (Rivoluzione Verde e Transizione Ecologica) e 5 (Inclusione e Coesione con investimenti in Rigenerazione Urbana), nel quale si articolano diverse soluzioni ascrivibili, direttamente o indirettamente, nella rete di interventi abilitati dalle Smart Cities.
– Pianificazione territoriale: la s.c. diventa una politica di governo del territorio, che va a reindirizzare la pianificazione urbanistica (favorito alla nuova concezione di urbanistica declinata dal Cons. Stato del 2012) e lo sviluppo urbano, verso la condivisione – anche attraverso le potenzialità delle nuove tecnologie – degli spazi pubblici e dei beni comuni, e verso una società sempre più integrata e coesa.
Sotto questo profilo, la s.c. si intreccia con il tema della rigenerazione urbana – intesa come «un insieme coordinato di interventi sia pubblici che privati, urbanistici, edilizi, socio-economici, tecnologici, ambientali e culturali di iniziativa strategica contro il nuovo consumo di suolo» – che, per intrinseca vocazione, appare essere uno strumento ideale per raggiungere gli obiettivi della s.c. Oltretutto, è lo stesso legislatore ad aver istituito un legame tra s.c. e rigenerazione urbana come denota l’art. 1, c. 437 legge di bilancio 2020 che, nell’ambito delle politiche di rigenerazione, ha istituito un programma («Programma innovativo nazionale per la qualità dell’abitare »), finalizzato a
«a rigenerare il tessuto socio-economico, a incrementare l’accessibilità, la sicurezza dei luoghi e la rifunzionalizzazione di spazi e immobili pubblici, nonché a migliorare la coesione sociale e la qualità della vita dei cittadini, in un’ottica di sostenibilità e densificazione, senza consumo di nuovo suolo e secondo i principi e gli indirizzi adottati dall’Unione europea, secondo il modello urbano della città intelligente, inclusiva e sostenibile (Smart City)».
A ciò si aggiunge (in attuazione dell’art. 20, co. 3-bis del d.l. n. 83/2012, che favorisce “la valorizzazione digitale dei beni culturali e paesaggistici”) anche una politica di interconnessione tra valori e beni oggetti di tutela differenziata (paesaggio e beni culturali), per consentirne la fruizione intelligente (non limitata a beni iconici ma estesa ai beni diffusi nella città) e in rete.
Non sono mancate forme di realizzazione della s.c. ispirate a un modello di sostanziale ritrazione delle autorità pubbliche.
– Amministrazione condivisa: attraverso i regolamenti comunali, si è definito un vero e proprio sistema di co-amministrazione (governance distribuita) nella cura e nella gestione dei beni comuni (da intendere come quei beni riconosciuti come rappresentativi da una comunità che si impegna a gestirli e ne ha cura non solo nel proprio interesse, ma anche in quello delle generazioni future). In questo modello (es. ne è il Regolamento sulla collaborazione tra cittadini e amministrazione per la cura e la rigenerazione dei beni comuni urbani, approvato dal Comune di Bologna il 19 maggio 2014), il potere amministrativo non si limita a sostenere o incentivare (con politiche di sostegno) interventi a sostegno dell’interesse generale, bensì cede ai cittadini parte delle proprie prerogative: essi (in forma singola o associata e anche in forma imprenditoriale), attraverso le piattaforme digitali (che li connettono tra di loro e con la P.A.), non solo partecipano al procedimento amministrativo (ad es. per la individuazione del bene o spazio urbano in questione), ma operano una vera e propria valutazione discrezionale, andando essi stessi a individuare uno specifico bene come funzionale al benessere individuale e collettivo e, conseguentemente, decidendo di assumersi direttamente la responsabilità della sua cura, della sua gestione o della sua rigenerazione al fine di migliorarne o di riacquisirne la fruizione a vantaggio dell’intera collettività. Tale forma di gestione della s.c. troverebbe la sua legittimazione e il suo ancoraggio costituzionale nel principio di sussidiarietà orizzontale che, proprio grazie all’ausilio degli strumenti tecnologici e informatici, può trovare la sua massima attuazione, rendendo i cittadini parte integrante della governance della città.
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In conclusione, giuridicamente, come possiamo qualificare la s.c.?
Potremmo dire che certamente la s.c. è un’espressione ellittica, che sintetizza un complesso di finalità natura “politica” che devono ispirare gli organi di governo nell’attuazione dei tradizionali strumenti urbanistici o degli atti di programmazione e regolazione, al fine ultimo di migliorare la qualità della vita dei cittadini. In questo senso, la smart city assume rilevanza come «tecnica di costruzione di politiche pubbliche intercomunali ad applicazione generalizzata».
Ma, volendo fare un ulteriore passo in avanti nella ricostruzione del fenomeno, potremmo dire che, con riferimento ad alcune specifiche funzioni amministrative (come ad es., quella di pianificazione urbanistica), rispetto alle quali sono rintracciabili nelle norme che concorrono a individuarne i fini o a regolarne lo svolgimento, un espresso richiamo agli obiettivi propri della s.c., è possibile sostenere un’operatività della s.c. sotto forma di vincolo (positivo) alla discrezionalità (nel quid e nel quomodo) che impone al pianificatore di orientare le proprie scelte nella cornice di un certo modello di sviluppo.
Un vincolo positivo, giuridicamente rilevante, che può essere fatto valere, tanto all’interno del circuito democratico-elettorale (che tiene insieme elettori ed eletti, secondo la logica della responsabilità politica), quanto davanti agli organi di giurisdizione amministrativa, chiamati a valutare il corretto o meno perseguimento degli scopi pubblici (sotto forma di controllo di ragionevolezza e proporzionalità) assegnati in cura alla P.A.
[1] Attraverso processi di aggregazione comunale (unioni e fusioni di Comuni) che sono stati indotti dalla numerosa “legislazione della crisi” (dal 2010 in poi sino alla “riforma Delrio” di cui alla legge n. 56/2014) e che si sono quindi assestati nell’affermazione di un paradigma di strutturale labilità delle delimitazioni cittadine.
[2] Ad assumere rilevanza non è l’ente locale nei suoi confini amministrativi predefiniti, bensì il «luogo e/o contesto
territoriale».
[3] Che conferiva all’AgID il compito di promuovere «la definizione e lo sviluppo di grandi progetti strategici di ricerca e innovazione connessi alla realizzazione dell’Agenda digitale italiana e in conformità al programma europeo Horizon2020, con l’obiettivo di favorire lo sviluppo delle comunità intelligenti, la produzione di beni pubblici rilevanti, la rete a banda ultralarga, fissa e mobile, tenendo conto delle singole specificità territoriali e della copertura delle aree a bassa densità abitativa, e i relativi servizi, la valorizzazione digitale dei beni culturali e paesaggistici, la sostenibilità ambientale, i trasporti e la mobilità, la difesa e la sicurezza, nonché al fine di mantenere e incrementare la presenza sul territorio nazionale di significative competenze di ricerca e innovazione industriale».